Mestieri
pedagogistaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Burundi, SomaliaData di partenza
1996Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Dopo molti anni trascorsi in Africa, per la prima volta, in Somalia, Silvia Montevecchi prova l’esperienza del deserto.
Lunedì 22 marzo
Era da tanto tempo che volevo fare l’esperienza del deserto. Non mi sarei mai immaginata di farla qui. Certo, non è il Sahara, non ci sono le meravigliose dune, e le tempeste di sabbia. Ma ci sono gli spazi, i cieli, e questi pastori transumanti, con i loro dromedari, che ti ricordano l’andare.
Passo lunghe ore per i fatti miei, a leggere, a sentire.
Ascolto un po’ di musica. Ho Mozart, ho Aretha Franklin comprata l’ultima volta a Parigi. Ho la musica malgascia, che mi ricorda i momenti più belli lasciati a Diego: le feste organizzate alla Candela. Quelle sì, mi mancano. Forse unico ricordo bello di un periodo così doloroso. Ma bello davvero, perché legato anche a belle persone, che rivedrò, inscià Allah.
L’esperienza del deserto, questa solitudine così prolungata. Questi lunghi silenzi.
Il deserto, è lo specchio della tua anima. Perché nel deserto non puoi mentire. Sei solo tu. Tu con te stesso. Con i tuoi sogni, i tuoi fallimenti, i tuoi dolori, i tuoi ricordi. Ciò che hai vinto e ciò che hai perso. Ciò che avresti voluto e ciò che hai.
Tu, e niente altro, oltre a questo cielo, questo spazio, questo vento e questa polvere. Nel deserto non ci sono maschere.
Così, dicono i tuareg dei Kel Hoggar “Se vuoi nasconderti, vai nelle tue grandi città donde vieni. Qui, ciascuno è una visibile persona”.
Il deserto dunque, ti insegna a stare con te stesso, così come sei. Ti insegna allora l’umiltà, e ti insegna ad essere forte, perché sei solo. E devi essere vero.
E questa solitudine ti dà la libertà più vera, che si ha solo quando si è soli; e ti insegna a guardare avanti, con tutta la consapevolezza del passato.
Aneddoti
* Il paesaggio si sta poco a poco colorando di verde. E’ la stagione delle piogge.
E’ buffo, come tutto possa avere lo stesso nome, e rappresentare differenze quasi diametrali.
In Madagascar, la “stagione delle piogge” corrispondeva a diluvi torrenziali, allagamenti delle città e delle risaie. Qui, una spruzzatina di 10 minuti di fa dire “siamo usciti dall’emergenza”.
* Paese che vai, moda che trovi. In ogni posto più o meno devo rifarmi il guardaroba. Magari sono piccoli dettagli, ma quelli famosi che “fanno la differenza”.
I lunghi vestiti senza maniche fatti a Diego, qui sono praticamente scandalosi. Un uomo, appena arrivata a Boroma, si nascose perché ero nuda e non poteva guardarmi (salvo sbirciare da dietro il muro…). Ora mi sto facendo lunghi camicioni che coprono le spalle e le caviglie. Non sia mai, che qualcuno si ecciti troppo…
* Notte nei villaggi. La gente è abituata a dormire in tanti in uno stesso ambiente. Mi danno una stanza piuttosto grande, per una persona sola. L’education officer decide di sistemare il suo armamentario nella stessa. Vabbè…
Dio mio, per tutta la notte fa un casino infernale, russa che sembra un suino. E poi, cribbio, già tutto il giorno una deve stare coperta come una banana, almeno quando dorme vorrebbe mettersi in mutande!
Il giorno dopo gli annuncio che vorrei stare da sola la notte. Lo vedo perplesso. Spiego che amo la mia privacy. Sempre più perplesso. Mi guarda e mi dice “tu sei proprio diversa: hai l’aria molto religiosa” !!!
Il viaggio
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