Mestieri
militareLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1940Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
guerraTemi
guerraLa breve ma intensa esperienza bellica di Elio Rosi sul fronte italo-francese, nel giugno 1940, ha fine. Mentre le salme dei caduti vengono trasportate a Ventimiglia, lo raggiunge la notizia della firma dell’armistizio.
Rammento che riusciamo a radunare i soldati e che, mentre cade la sera, anche il 30 Battaglione – testè sceso – ripara a Passo di Cuori. Il perché non lo so. Non certo però perché inseguito dai francesi. Mi vedo con de Angelis nella baracca dei feriti, che è posta nel centro della valletta, mentre cerchiamo di asciugarci a un fuocherello acceso in un angolo. Il fumo pestifero riempie la baracca tra le proteste dei feriti che poveretti, nuotano quasi dato che l’acqua, alta tre dita, bagna il pavimento. Per due volte ci asciughiamo e per due volte ordini improvvisi ci richiamano fuori ad infradiciarci da capo. Finisco dli perdere gli ultimi pezzi del cinturone e un paio di calzerotti. Le fasce che ho attorno alle gambe sono rappresentate solo dagli ultimi brandelli. Rinunciamo ad asciugarci anche perché – pare – i francesi vogliono attaccarci. Quindi, linea difensiva sulla cresta di Passo di Cuori. Il 3° Battaglione ha già ripiegato e ha posto in linea le armi automatiche sull’argine e sul muraglione che corre lungo il confine. Sono in piedi dietro questo con De Angelis ed esprimiamo i nostri dubbi su un eventuale attacco del nemico. Stiamo così cianciando quando, alle nostre spalle nella valletta di Passo di Cuori ecco sbucare il nostro Battaglione che, scambiandoci per i francesi, incomincia a spararci addosso. Faccio un bellissimo volteggio sul muro e ruzzolo dall’altra parte diritto come un fuso in un cespuglio di spine con la testa in giù. Mentre sto cercando di districarmi attorno a me scoppia un inferno di colpi. I nostri soldati – vistosi attaccati alle spalle – hanno voltato le armi ed iniziato un fuoco violento contro…. i francesi. Sparatoria di alcuni minuti con lievi conseguenze, per fortuna, e poi qualcuno si accorge dell’equivoco. Si grida di cessare il fuoco e, quando riesco ad uscire dall’involucro spinoso, anche questa è passata. Più tardi ripieghiamo a Giaorusso. E’ notte fonda e ci ruzzoliamo giù per l’infame sentiero, passeggiando sugli zaini e sulle coperte buttate il giorno avanti. A Giaorusso…. perdo la Compagnia essendomi fermato a fornire schiarimenti a un ufficiale di altro reparto. Per ritrovarla devo ficcare il naso un poco dappertutto nei cascinali brulicanti di soldati. Poi, nella soffitta dove si trovano tutti i compagni, dopo una pagnotta col formaggio elargitoci da Sciubba, ci buttiamo a dormire in mezzo ai feriti, seminudi, perché i vestiti sono fradici, e avvolti in coperte umidicce. Mi trovo tra De Angelis, Parente e Sciubba e, nel sonno agitato, smanio e grido ordini tutta la notte (così mi dissero i colleghi).
Il giorno 24 ci sveglia col sole! Quale diversità dai giorni precedenti. E col sole, l’ordine di ripiegare ancora. Si scenderà ad Airole. Il Battaglione decimato e privo di gran parte del materiale e delle armi, cede il posto a reparti più freschi. E’ in linea, infatti, il nostro Battaglione (quello giunto il giorno innanzi e che aveva provocato l’equivoco della sparatoria contro di noi). Giunge pure, di rincalzo il 36° Battaglione CC.NN. (quello di Genova). Allo stesso consegniamo teli da tende e cucine. Vi ritrovo un vecchio amico, il Capo Manipolo De Grada nonché mi sento ad un tratto chiamare da un capo-squadra (sergente): è il bidello del mio piano all’Istituto Tecnico ove ho terminato gli studi…! Siamo piuttosto in euforia, questa mattina e ci diamo da fare per metterci in movimento. Si prende la strada per scendere in basso. Il cannone, che ha tuonato tutta la notte, continua a rombare. Gli altri reparti ancora indenni (l’unico veramente impegnato è stato il nostro Battaglione), si sono schierati tra Cima di Cuori ed il Treittore, ben a ridosso del confine e senza alcuna velleità di procedere avanti.
Noi ci lasciamo tutto questo alle spalle. lo sono in testa alla mia Compagnia e scendendo la mulattiera mi sofferma, di tanto in tanto, a parlare con feriti lievi che si stanno trascinando in basso; fischietto, discorro coli chi mi è vicino. Sta, piano piano, svanendo l’incubo minaccioso che, da alcuni giorni, ci incombeva addosso Tutto sembra finito ma non lo è ancora. Siamo appena arrivati a valle ed Olivetta San Michele è prossima quando ci raggiungono sibili di proiettili e schianto (li esplosioni tra gli ulivi. Sono mortai francesi che, diretti dall’osservatorio di Basavina, stanno centrandoci per ostacolare la nostra ritirata. I colpi passavano nello spazio delimitato dai due versanti: quello dalla parte dove eravamo discesi e quello opposto ove si trovava il Paese. Sull’impluvio, che li separava passava un ponte di circa una trentina di metri. Era questo passaggio obbligato, il più pericoloso, in quanto in buona evidenza. Feci fermare la colonna e valutai l’intensità delle raffiche micidiali in arrivo: si susseguivano con intervallo (li almeno un minuto. Diedi ordini • ai soldati che tra un intervallo e l’altro, passassero (li corsa il ponte; così fu fatto ma, comunque il ponte stesso non fu mai centrato e ci ritrovammo, sull’altra sponda, senza perdite.
Faccio partire i soldati ma quando dietro a me non rimangono che quelli della 6° Compagnia, mi lancio con tutta velocità, attraverso il ponte. Si passano le prime case di corsa e, piano piano, tutto il battaglione si riordina in zona di sicurezza. Anche l’ultimo pericolo è scongiurato. E si ricomincia a battere l’asfalto verso Airole. La compagnia – lunga fila di esseri spartiti e sbrindellati, con pezzi di fasce penzoloni, chi armato di fucile e chi di moschetto, chi con la zaino, moltissimi senza – è chiusa da me che tra i brandelli delle falde del cappotto, sto contemplando i miei famosi pantaloni nuovi: sono sdruciti e mostrano la pelle delle ginocchia. Perché non li ho cambiati, a Scarassan (un secolo fa!) prima della partenza? E poi mi becco subito un “cicchetto”. Motivo: i soldati non marciano in fila perfetta. Irrigidito sull’attenti” al fianco della macchina, rispondo secco secco che abbiamo lasciato la linea da un’ora, che sono due giorni che non si riposa e non si mangia e che molti soldati hanno i piedi feriti o malandati. La giustificazione dei piedi malandati non soddisfa quei esseri che, comodamente sdraiati sui cuscini, se ne vengono da Ventimiglia dove, probabilmente, hanno riposato in un comodo albergo dopo una regolare e sostanziosa cena. Ed io sono quasi tentato di rimpiangere Monte Razet: lassù piovevano le granate ma non brontolava nessuno!
Ad Airole ci riceve Petracca e ci rifocilliamo -nella chiesa rigurgitante di materiale e di sacchi di pagnotte. Salvatore ed altri ufficiali.. di seconda linea, ci accolgono entusiasticamente. Pare che siano pervenute notizie mirabolanti sulle nostre imprese e ci guardano come tanti eroi. Tra l’altro sono lieti di rivedermi perché era circolata la voce che mi dava per bello e spacciato: Sono stanco, abbruttito, sfibrato. Ma mi faccio la barba e poi, nella chiesa, illuminata dalle luci rossastre delle lanterne, bevo, bevo a più non posso, attingendo con una tazza direttamente da un barile di cento litri di vino.. Ai colleghi, rimasti ad Airole, pochi e succinti racconti delle nostre avventure; cadiamo dalla stanchezza ed abbiamo assoluto bisogno di riposo. Sono state requisite delle abitazioni. lo, Moretti, Sciubba e Roba ci ritroviamo in una villetta piuttosto civettuola che i padroni hanno abbandonato allo scoppiare del conflitto: si chiama “Villa Serena” e mai nome fu più appropriato, dopo le nostre traversie. Ovviamente, ai letti, mancano materassi e coperte, ma, per noi è fin troppo. Con l’eccezione della notte, passata a Costo d’Arroscia, non abbiamo più conosciuto il piacere di un letto: sono ben trentaquattro giorni! Abbiamo dormito in tenda, a volte per terra a volte non abbiamo dormito allatto. Ci arrangiamo alla meglio. Abbiamo i nervi a fior di pelle, per le peripezie passate. E l’ultimo colpo lo ha dato la visione di nostre camionette che transitano sulla strada, recanti al Cimitero di Ventimiglia, corpi esanimi di nostri compagni raccattati sul campo di battaglia. Ci mettiamo a sedere sui letti, a “biscare”. Dopo qualche ora, giocando a “sette e mezzo” perdo ben mille e cinquecento lire, una somma favolosa per l’epoca. Poi si dorme, di un sonno popolato di incubi. Ma al risveglio (giorno 25°) giunge la notizia tanto agognata: “E’ stato firmato l’armistizio!”.
Il viaggio
Mestieri
militareLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1940Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Elio Rosi
Al confine con la Francia
guerra, scoppiata il 10 di giugno 1940, era preceduta da mesi e mesi di preparazione. Per...
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