Mestieri
artigianoLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
Palestina, Sud AfricaData di partenza
1940Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
guerraTemi
guerraTebaldo Giusti viene ferito e fatto prigioniero dagli inglesi nel corso della battaglia di Bardia combattuta all’inizio del 1941 tra le truppe italiane e quelle inglesi e australiane su terra libica.
Verso le 5.30 della mattina del 21 gennaio scoppiò un bombardamento: le bombe arrivavano dal cielo, da terra e dal mare. La nostra zona di difesa era una piazzaforte a semicerchio, eravamo 22.000 uomini, equipaggiati con armi e mezzi di trasporto, presi ai tedeschi, nella 1° Guerra mondiale, del 1915-1918. Cose da far ridere anche i camaleonti del deserto. Ci diedero l’ordine di sparare. Eravamo lì con quattro cannoni da 149/13; obici a canna corta, per sparare a breve distanza, piazzati a venti metri di distanza l’uno all’altro. Per ogni cannone eravamo nove soldati. Io tiravo la corda per fare partire il colpo, da pochi giorni ero stato promosso caporale. Peccato: se questa bella vita fosse durata qualche anno, potevo diventare maresciallo, ma, meno male, la guerra per me è durata due ore e mezzo, bisogna esserci stati sotto le bombe per capire.
Dopo pochi minuti non c’era più comunicazione, le nostre linee telefoniche, fatte con fili buttati lì, sopra la sabbia, erano saltate, immaginatevi che fine avremmo fatto. Quindi i nostri tre ufficiali andavano su e giù per il campo di battaglia, allo scoperto. Noi, con cannoni, eravamo un po’ interrati sui lati, bisognava che la bomba cadesse direttamente sopra di noi per colpirci, quelle che cadevano ai lati, si allargavano e c’era meno rischio. Ho potuto sperimentarlo io stesso. Subito dopo cessato il fuoco, seppi che il nostro comandante morì subito dopo l’inizio del bombardamento. Il vice comandante, poco dopo, quindi, rimase solo l’aiutante che andava avanti e indietro a dare ordini. C’era da immaginarsi che i nostri colpi potessero colpire i nostri soldati, che erano poco avanti a noi. Si sparava a casaccio. Verso la fine della battaglia, io andai a prendere dei proiettili, poco dietro il nostro cannone. Arrivavano proiettili di mitragliatrice, come se fossero stati goccioloni di un temporale. Dopo poco, il nostro ufficiale ci fece smettere di sparare, capì che gli australiani erano vicini. Quindi i nostri avversari cessarono il fuoco, forse per sparare poco dopo. Poi tutto si calmò. Fino a qual momento, eravamo stati in un’oscurità profonda. Vedemmo il sole che era già alto nel cielo, perché, fino a quel momento, eravamo stati avvolti nel fumo delle esplosioni e nel polverone della sabbia. A quel punto, vedemmo venire verso di noi dei soldati e noi entrammo nel rifugio, poiché pensammo che fossero dei nostri, che stavano appostati più avanti. Quando furono più vicini sentimmo che non parlavano la nostra lingua. Noi rimanemmo zitti e fermi, al nostro posto nel rifugio. Tutto ad un tratto, sbucò un fucile con baionetta. Se avessero voluto, ci avrebbero potuto infilzare tutti in qualche secondo. Invece, sorridenti, ci fecero cenno di uscire e andare nella direzione, da dove erano venuti loro. Cosi finì la guerra e cominciò la prigionia. Come vedremo più avanti, la prigionia fu abbastanza sopportabile. Ci mettemmo in cammino e poco dopo ci fecero fermare. Per mezzo dell’interprete ci dissero di gettare, armi, coltelli ecc. Io, come penso la maggior parte di noi, gettai la tessera del partito fascista, che, con una fotografia, serviva anche da carta d’identità. Presi anche un maglione abbandonato, pieno di pidocchi rossi, poiché pensai, che quella prima notte, non saremmo andati in un albergo a cinque stelle. Camminammo fino al tardo pomeriggio, per raggiungere un luogo stabilito da loro. Arrivò subito un’autobotte, con camion e rimorchio, versarono tutta l’acqua in una vasca di tela e cominciarono subito a darci da bere. Quando arrivò il nostro turno dissero: ora basta, domattina. Cominciò così la nostra prima triste notte. Nel deserto la notte è freddissima, e poiché anche la mia unica giacca l’avevo lasciata vicino al cannone, ci mettemmo a cercare cespugli secchi per poterci scaldare. Le sentinelle che ci controllavano, di quando in quando, gridavano e sparavano dei colpi in aria, per farci capire che era pericoloso accendere fuochi.. Infatti, verso le 5.30 della mattina sentimmo arrivare un aereo, in pochi secondi arrivò sopra le nostre teste. Ho saputo molto tempo dopo, da un militare di Quarrata, che faceva parte del mio reggimento, che i morti furono 200 o 300, su un totale di 5000 — 6000 soldati. I morti furono sepolti in un’unica buca. Ed io? Fui ferito da una scheggia di una bomba al braccio sinistro e l’osso mi andò in briciole. Ci vollero 15 mesi per guarire. Noi feriti ci portarono fuori dal gruppo, c’era qualcuno con gambe e braccia tagliate a metà; un orrore. Fortunatamente, coloro che ci tenevano prigionieri avevano un’attrezzatura ed un’organizzazione eccellente. Infatti, dopo 1 ora mezzo, avevano già piazzato un ottimo pronto soccorso. Io, ché ero fra i meno gravi, andai sotto i ferri nel tardo pomeriggio. Per levare la scheggia, che avevo nel braccio sinistro mi misero la mascherina con etere e cloroformio. Non mi accorsi di niente. Poi, fumo caricati su un’autoambulanza, nelle barelle, 2 a sinistra e 2 a destra, ed io seduto dietro l’autista. Viaggiammo per circa 2 ore, per raggiungere Bardia, la piazzaforte occupata da loro 15 giorni prima, dove c’era un ospedale, gestito dai prigionieri italiani. Per fortuna io avevo le gambe per potermi muovere e cercare del cibo, così una galletta ed una scatoletta la potetti mangiare. Fortunatamente, dopo 3 giorni, arrivò nel porto di Solum a pochi passi da noi, una bella nave ospedaliera che ci portò ad Alessandria d’Egitto.
Il viaggio
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licenza elementarePaesi di emigrazione
Palestina, Sud AfricaData di partenza
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