Mestieri
impiegataLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
CubaData di partenza
1996Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Dopo L’Avana e Santiago, la vacanza cubana di Morena e Ivan prosegue verso il mare, e verso la località balneare più rinomata dell’Isola: Varadero.
Mercoledì 20 novembre Giorno di partenza per Varadero. Al mattino c’è un sole sfolgorante, dato che oggi non andremo al mare, e in casa manca l’acqua. Riusciamo a lavarci la faccia e i denti al piano di sotto, un attimo prima che vada via anche lì. Lasciamo ai nostri ospiti diversi capi del nostro vestiario e altri oggetti di uso comune, per noi banali da trovare in qualsiasi negozio o supermercato, per loro quasi introvabili. Riflettiamo sui nostri “taxisti” che ci sono stati raccomandati da Ravenna: mentre Fernando è una persona genuina, ruspante e povera allo stato puro, Fidel è più difficile da inquadrare. Al primo impatto, nella sua casa, ci era sembrato anche lui così, tra l’altro ci avevano affidato degli oggetti da recapitare anche lui, ma nelle due sere in cui è venuto a prenderci era vestito in modo molto elegante (molto più di noi… ma non ci vuole molto per questo), con scarpe nuove ai piedi, che qui sono un super lusso, infatti costano circa 20 $ ovvero circa due mesi di stipendio, perché costruite artigianalmente. Per strada vediamo bambini ai quali compreremmo a tutti quanti le scarpe … anche se Ivan suggerisce che me ne compri un paio pure io, sono partita dall’Italia con due paia di scarpe da ginnastica che fra pioggia e disavventure varie, sono ridotte in un modo che non verrebbero accettate neppure dai bambini cubani. Tornando a Fidel, realizziamo che ha un sacco di agganci, anche con un’agenzia che usa come riferimento per ricevere fax e grazie alla quale si sposta da una parte all’altra dell’isola. Quanti altri cubani possono farlo? Quasi nessuno si è mai spostato dalla propria città, hanno il divieto di andare all’estero, se non per seri e comprovati motivi, e non hanno le possibilità economiche per spostarsi all’interno. Insomma ci sorge un po’ il dubbio se abbiamo fatto bene a lasciargli i nostri vestiti e scarpe; lui non si è dimostrato offeso (gliel’avevamo chiesto prima) ma qui è meglio muoversi con circospezione…. Fidel ci informa poi che lui è disponibile a trasportare persone in tutta l’isola fino all’Avana (ma con quale auto? La sua?!) eccetto Varadero, che è un posto solo per turisti, dove non possono entrare i taxi particular. Secondo lui comunque anche a Varadero ci sono delle case particular, noi ce lo auguriamo, siamo completamente allo sbaraglio per quanto riguarda l’alloggio. Nota: abbiamo notato prima a L’Avana poi a Santiago l’assenza di gatti. Fernando ci ha detto candidamente che è uso mangiarli dato che la carne assomiglia a quella del coniglio, mentre Marisol, molto distinta su tutto, ha detto che essendo animali domestici, stanno in casa e non escono per strada. Mentre aspettiamo nel patio che vengano a prenderci, Manuel ci prepara le noci di cocco che ci ha procurato Fidel, per farci bene l’acqua che c’è dentro. E’ un’impresa non da poco, anche col machete è difficile spaccarle. Noi pensavamo che le noci di cocco fossero marroni come quelle che vediamo in Italia, in realtà c’è un involucro giallo, che bisogna rompere e dentro c’è la noce come la conosciamo noi, la quale contiene una squisita acqua, poi si mangia la polpa bianca. I saluti a Villa Hermelinda sono commoventi, anche se mancano i padroni di casa, la signora Virginia e il signor Carlos. Lasciamo dei regalini per tutti, Manuel ci regala un bellissimo quaderno di carta riciclata che usano i bambini cubani a scuola. Alle 11 arriva Fidel con sua moglie Miriam per accompagnarci in aeroporto. Non possiamo non notare che dal nostro arrivo a Santiago, oggi è la prima giornata in cui il sole splende limpido. Speriamo che la perturbazione non si sia spostata a Varadero. Partiamo alle 13, puntuali. Più che un aereo sembra un elicottero, si tratta di un piccolo aeroplano con due motori ad elica, forse un residuo pre-rivoluzione. Ci spieghiamo in questo modo perché la durata prevista del volo è di tre ore, contro l’ora e mezza impiegata nel volo L’Avana-Santiago. Ci capitano fra l’altro i posti a metà cioè sull’uscita di emergenza; il vantaggio è di poter stendere completamente le gambe, ma se si dovesse aprire il portellone saremmo i primi a cascare giù (una botta di ottimismo non guasta…). Dopo la solita distribuzione di caramelle, viene distribuito il Granma, Quotidiano Ufficiale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cubano, che riporta la foto di Fidel Castro col Papa a Roma. Riporta, inoltre, la notizia della depressione tropicale “Marco” che ha già fatto diverse vittime in Honduras e Nicaragua e ora sta arrivando su Camaguey e Guantanamo. Noi stiamo volando in direzione della parte opposta, ma la nostra fortuna dal punto di vista meteorologico in questo viaggio non ha limiti. Dopo dieci minuti di volo siamo sulla provincia di Granma (così chiamata in onore della barca Granma che trasportò in questa provincia gli 82 rivoluzionari guidati da Fidel Castro): nei documenti conservati alla Caserma Moncada, è riportato che Fidel Castro e i suoi uomini impiegarono 41 giorni di cammino per compiere questo tratto. Alle 15.15, puntuali, atterriamo. Mi fiondo come un’assatanata su un cornetto gelato (piccola crisi di astinenza dalla civiltà occidentale) e non ci accorgiamo che nel frattempo tutti hanno già ritirato i bagagli e chi prosegue per L’Avana è già ripartito. Nella sala degli arrivi troneggiano le nostre “maletas” sotto lo sguardo smarrito degli impiegati dell’aeroporto che si stanno chiedendo chi saranno quei tonti dei proprietari. All’uscita dall’aeroporto ci guardiamo intorno smarriti, casualmente sta partendo un bus di un viaggio organizzato dalla Veracuba, ci scambiano per due ritardatari e ci aspettano, così ne approfittiamo per chiedere a una hostess se conosce un albergo dove possiamo trovare una camera libera. Si illumina immediatamente e ci chiede sottovoce se ci interesserebbe anche una “casa particular” che sarebbe poi la sua: detto fatto, nel giro di mezzo minuto ci ha trovato un taxi (un’auto con tutte le maniglie, che si chiude bene, una Nissan dei giorni nostri! Non eravamo più abituati) e ha messo in mano al taxista il suo indirizzo. Il taxista già che c’è passa a prendere anche una sua amica, non ci facciamo neanche caso, siamo ormai abituati. Il cielo è limpido, l’autostrada corre accanto al mare, sventolano le palme, in lontananza si intravvedono grattacieli, sembra un altro mondo. Sbarchiamo in una “calle” con case basse, donne di colore sulla porta, sembrano più baracche che vere e proprie abitazioni. La nostra è passabile — la nostra soglia di tolleranza ai disagi si è alzata notevolmente da quando siamo partiti. I padroni di casa, genitori della ragazza, sono di colore. Ci mostrano la stanza e il bagno; la stanza è piccola e con i bagagli sul pavimento non si riesce quasi a camminare. Su una parete c’è una specie di tappeto-arazzo che abbiamo visto in tutte le case e paladar che abbiamo visitato, che riproduce diverse scene, da immagini religiose a paesaggi. Questo è il più brutto in assoluto che abbiamo mai visto, direi pauroso: ci sono anche il gatto e la volpe a grandezza naturale, con gli occhi rossi su sfondo rosso. Poi un frigorifero, un ventilatore, fiori di plastica, soprammobili da turbare il sonno (cani e gatti di finta ceramica, mai visto niente di più brutto), una bambola nera col vestito bianco sul copriletto e, sorpresa! Un radioregistratore! Così, ascoltando cassette, si possono coprire i rumori che arrivano dalla casa e dall’esterno. La nostra stanza è di fronte alla cucina dove la signora Juana passa tutto il giorno a dondolarsi sulla sedia a dondolo guardando la tv mentre il marito Tomas si dà un gran daffare a cucinare, pulire, mettere in ordine. Per andare in bagno dobbiamo attraversare il corridoio. La porta non ha maniglia, c’è un buco per infilare il dito e tirarla e un pezzo di fil di ferro da agganciare per chiuderla. Per l’acqua calda il solito sistema: un pulsante da accendere, in questo caso collegato anche a una lampadina (una sciccheria). La presenza di una bottiglia di plastica tagliata a metà ci ricorda l’esperienza del lavaggio dei capelli a Santiago e ci insospettisce: infatti dopo mezzo minuto l’acqua bolle e non ci si può lavare se non ricorrendo alla miscelazione nella bottiglia con l’acqua fredda. Comunque concordiamo per due notti (20 $ a notte) in attesa di definire come andare a Trinidad e Santa Clara. Siamo a pochi metri dalla spiaggia e ci andiamo subito, ma sono quasi le 17 e fa un po’ freddo. Finalmente la famosa spiaggia bianca! Due ragazzi tornano a riva con un pesce, un “pago” di 8 — 10 kg. II bagnasciuga è disseminato di tante piccole meduse fra le quali alcune molto grandi. Il sole è un pallone rosso fuoco, gli andiamo incontro e ci accorgiamo di essere vicini a “Los Delphines”, il primo albergo che avevamo contattato per cercare una stanza, che ci era piaciuto dalla foto perché è una villa degli anni ’30 con poche camere affacciate sul mare. Alle nostre spalle un cielo violetto che sembra dipinto, e che regala lo stesso colore al mare. Sul mare volano dei pellicani. II sole scende molto velocemente, andiamo a casa prima che faccia buio perché non ci orientiamo ancora bene e non vorremmo perderci. Dopo aver fatto la doccia aspettiamo Suharmi, la figlia, che siccome lavora per un’agenzia viaggi ci potrà dare informazioni, ma alle 21.30 non è ancora arrivata così suo padre Tomas si offre per accompagnarci a mangiare qualcosa. Qui i paladar non sono legali, perché Varadero è esclusivamente turistica e non è tollerata la concorrenza ad alberghi e ristoranti, dove per esempio l’aragosta costa 28$, contro gli 8$ di un paladar. E se anche Tomas conoscesse dei paladar non ce li farebbe certo conoscere, dato che ci siamo impegnati a cenare a casa sua domani, cosi non trova di meglio che portarci in un fast food! La fame è brutta così ci rassegniamo a mangiare un hamburger. Accanto c’è una panetteria-pasticceria ancora aperta (… che differenza dalle altre città da dove veniamo! Questo è davvero un luogo artificiale, destinato unicamente a turisti) dove compriamo delle paste anche per la moglie e la figlia di Tomas e torniamo a casa, dove nel frattempo è arrivata Suharmi, che parla l’italiano abbastanza bene dato che guida gruppi di turisti italiani. Tutto sommato è stata una fortuna incontrarla, eravamo allo sbaraglio, avremmo speso centinaia di dollari in taxi per vagare da un albergo all’altro alla ricerca di una stanza che non avremmo trovato, sapevamo già che erano tutti pieni; oltretutto Suami ci promette di informarsi se la sua agenzia organizza gite a Trinidad e Santa Clara (che per noi sarebbe un grosso sollievo: l’idea di noleggiare un’auto ci crea una certa preoccupazione, non conosciamo le strade, che sono piene di buchi, e i furti sono all’ordine del giorno), inoltre penserà lei a confermarci il volo di ritorno oltre a organizzarci lo spostamento da Varadero all’aeroporto dell’Avana.
Il viaggio
Mestieri
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CubaData di partenza
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