Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
LaosData di partenza
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Al suo arrivo in Laos da missionario laico, nel 1970, Mauro Ferrari fotografa il paese, le persone che lo abitano e le strutture nelle quali si troverà ad operare.
Il Laos. Una volta disbrigate le procedure doganali e controllati i visti c’infilammo nel lungo tratto di strada che dall’imbarcadero conduce a Vientiane. Mi resi conto che i dintorni della città erano rigogliosi di vegetazione, ma non avevano null’altro di particolare. In una piana disseminata di laghetti e risaie, immerse fra il verde, vidi alcune costruzioni in cemento, ognuna con un suo stile, diverse case coloniali con tanto di giardino e molte capanne di legno e in bambù semi nascoste fra la vegetazione. Dopo aver percorso alcuni chilometri, incrociammo un lungo viale con alberi di grosso fusto, le strade erano più spaziose e intravedemmo un arco di trionfo con un grande mercato, alcune pagode di pregio, dipinte di giallo e palazzi in stile europeo, capimmo così d’aver raggiunto il cuore della città. Mi feci accompagnare alla missione cattolica, salutai e ringraziai il mio compagno di viaggio che raggiunse, invece, il liceo francese. Fui accolto, per la prima volta, da qualcuno che m’aspettava. I missionari francesi erano informati del mio arrivo e mostrarono quel tanto d’interesse che è sufficiente per salvare la faccia. Del resto io non ero un connazionale. I padri erano tipi molto seri, taciturni, schivi, quasi freddi, molto occupati nel loro impegno missionario. M’impressionò il caldo umido di Vientiane, e la bottiglia di due litri d’acqua che ognuno trovava di fronte, insieme al bicchiere e al piatto, quando si sedeva per mangiare nel gran refettorio riservato ai religiosi. Restai solo qualche giorno con loro, giusto il tempo per regolarizzare i documenti e di procurarmi il biglietto d’aereo per il volo su Luang Prabang. Quella di Vientiane era una vecchia missione, composta da un buon numero di Vietnamiti. I nuovi cristiani venivano soprattutto dell’etnia Meo, uomini della montagna, piccoli e solidi come tronchi d’albero. I Laotiani erano in gran parte Buddisti. Oltre alla grande chiesa del Sacro Cuore di Gesù, di stile europeo, i missionari gestivano una scuola cattolica che aveva la fama d’essere selettiva. Famoso era il seminario di Paxane, dove le migliori menti della congregazione preparavano i futuri sacerdoti locali.
La città di Luang Prabang era raggiungibile solo con l’aereo. La strada sterrata che raggiungeva il nord del paese non solo era, allora, impraticabile, ma la guerra l’aveva resa infida. Così completai il mio primo viaggio al Laos in tre mesi, passando dalla nave al treno, dall’automobile all’aereo. Non ci volle più di mezz’ora a quel velivolo non troppo grande per raggiungere i cieli di Luang Prabang, poi s’infilò nelle nuvole e sbucò fra le colline sopra la città reale. Vientiane aveva ancora la parvenza di una città, ma Luang Prabang, seppur ordinata e graziosa, non era più grande di un paesetto delle nostre valli bergamasche. Dall’aereo si scorgeva il monte Poussy, sessanta metri d’altezza sulla via principale che potevamo seguire dall’alto e che taglia in due la città fino a raggiungere il punto dove il fiume Nam Khan si riversa nel grande Mekong. Da ogni parte, persi nel verde, s’aprivano spazi ben tenuti, luccicanti d’oro quelli delle pagode. Faceva venti mila abitanti o poco più, ma la sua importanza consisteva nel fatto che ospitava il Re del Laos con tutto l’apparato che la corte esige e il Vescovo buddista, assistito da un buon numero di monaci. Oltre duecento erano i bonzi presenti, disseminati in una quarantina di pagode. Stavo proprio per atterrare nel cuore, nella parte più tradizionale del paese. Qui ad un piccolo drappello d’Italiani erano affidate le sorti della chiesa nel nord del Laos. Luang Prabang era anche il centro della diocesi e la sede del Vescovo cattolico. Dall’aeroporto, appena fuori città, con la macchina della missione che mi aspettava, raggiunsi l’episcopato posto nel quartiere vietnamita; una casa senza pretese in parte alla quale sorgeva l’unica chiesa della città. Fui accolto cordialmente stavolta, da Monsignor Staccioli e dai padri italiani. Dopo i calorosi saluti, e un giorno di riposo cominciò la visita alla missione. In città il nocciolo duro dei cattolici era vietnamita e li assisteva un religioso originario del Vietnam, Padre Vinn. Dietro la chiesa sorgeva un centro occupato da alcune religiose che erano venute dall’Italia e s’interessavano delle ragazze Meo. Nel quartiere delle scuole, dove era situato il liceo francese di Luang Prabang e la scuola Normale che preparava i futuri maestri, sorgeva la grande scuola della missione, la rinomata Dao Hung, che ospitava più di mille alunni a cominciare dalle scuole elementari fino alla troisième, classe corrispondente alla nostra quinta ginnasio. La scuola s’onorava d’ospitare, fra l’altro, i figli del principe ereditario, i rampolli dei nobili e dei dignitari di corte nonché gli eredi dei generali più medagliati del regno.
Il viaggio
Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
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1970Periodo storico
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