Mestieri
dirigente d'aziendaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Stati Uniti d'America, Svizzera, FranciaData di partenza
1923Data di ritorno
1944Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Folgore Vella, tre anni, è il figlio di un noto antifascista.
Nell’autunno del 1923, avevo appena compiuto tre anni, mio padre decise di andare negli Stati Uniti: il fascismo aveva già preso il potere ed incominciava ad usare la forza delle strutture statali per perseguitare i suoi avversari. D’altra parte sembrava che certi cugini avessero raggiunto una buona posizione in quel Paese e avrebbero potuto essergli d’aiuto nelle prime fasi della sua permanenza. Mio padre partì con suo fratello Giuseppe e poco dopo volle che mia madre ed io lo raggiungessimo. Assieme a noi viaggiò anche la zia Arpalice andata sposa allo zio Giuseppe: due fratelli avevano infatti sposato due sorelle.
Ho conservato qualche ricordo del nostro soggiorno negli Stati Uniti. Sono visioni statiche, sfocate, come vecchie fotografie dai contorni sbiaditi ma che non mi hanno mai abbandonato da allora.
La prima immagine incisa nella mia mente è quella di uno scompartimento nella carrozza-letto di un treno americano. È notte e dal finestrino vedo, in lontananza, enormi bagliori arancioni e rossi che per un tempo, che mi sembra lunghissimo, accompagnano il veloce andare del treno. Seppi, più tardi, che si trattava delle ferriere sterminate del Nord-Est degli Stati Uniti viste durante il viaggio che ci portò da Nuova York a Buffalo, ai confini col Canada. Qui andammo a vedere le Cascate del Niagara. Ho ricordo di un fragore immane e di una immensa nuvola d’acqua che sale verso di me, bagnandomi.
Ed ecco un’altra immagine. Siamo nella nostra casa di Nuova York, io e la mamma. è estate e fa molto caldo. Ad un certo momento, forse richiamata dalle grida che vengono dalla strada, la mamma mi prende in braccio e mi fa affacciare alla finestra. Sul marciapiede una decina di ragazzini, mezzi nudi, hanno aperto uno dei neri idranti tipici delle strade americane, e sotto il potente getto d’acqua che ne prorompe, si divertono a fare la doccia in una pazza sarabanda di rincorse, di spintoni e di cadute. Ma dopo un po’ di tempo, appare all’orizzonte l’immancabile poliziotto che, gridando e gesticolando, fa sparire in un baleno, come un volo di passerotti impauriti, i monelli bagnati e felici.
La nostra permanenza negli Stati Uniti durò appena un anno e prese fine in modo drammatico.
L’opinione pubblica americana era in quel periodo scossa da una sentenza che aveva condannato a morte due emigranti italiani, Sacco e Vanzetti, accusati di aver ucciso durante una rapina un guardiano notturno e un poliziotto. Le prove della loro innocenza erano palesi, come palese era invece l’intento delle autorità di colpire due italiani, due operai e, per giunta, anarchici.
Mio padre non si sentì di rimanere passivo di fronte ad una simile aberrazione. Lasciò esplodere la sua indignazione ed in affollati comizi pubblici si erse a difesa dei due condannati, lanciando pesanti accuse contro la polizia e i giudizi. La reazione non si fece attendere. Mio padre fu arrestato e poiché rifiutò di smentire il suo credo libertario e di ritrattare le sue accuse fu imbarcato di forza su una nave diretta in Francia. Sacco e Vanzetti furono condotti alla sedia elettrica tre anni dopo. Purtroppo mio padre non visse abbastanza per vedere annullata la sentenza di morte e riabilitata la memoria dei due innocenti.
In fretta e furia mia madre disfece casa e s’imbarcò con me e la zia Arpalice alla volta dell’Europa.
Il viaggio
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