Mestieri
pedagogistaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Burundi, SomaliaData di partenza
1996Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Silvia Montevecchi, pedagogista e cooperante italiana, arriva in Burundi nel 1996: in quegli anni il paese è attraversato dalla guerra civile. Il quadro che Silvia si trova davanti è desolante, e non solo per le condizioni di miseria in cui versano le popolazioni africane. È testimone delle sperequazioni alimentate dalle organizzazioni governative internazionali, e le denuncia nelle lettere che spedisce in Italia.
Bujumbura, 20.11.96
Carissimi,
riesco a scrivervi due righe tramite qualcuno che rientra in Italia, dato che con l’embargo la posta non parte dal Burundi. Questo paese è stupendo, ma la povertà è incredibile. Per quanta puoi averne vista prima, non ti ci abitui mai. Soprattutto perché qui la cosa più agghiacciante (benché non mi stupisca) è il divario pazzesco tra i bianchi e che lavorano per gli aiuti umanitari e la gente. C’è una marea di occidentali (cooperanti e volontari) che scorrazzano tra un locale e l’altro, tra un festino e l’altro. Gente che in Italia sarebbe disoccupata, qui fa vita da nababbo. E per quanto riguarda gli stipendi dei cooperanti… ero rimasta indietro, ai 6 / 7 milioni. Mi dicono che il responsabile della cooperazione italiana ne prende 18. Al mese, evidentemente. Il nostro stipendio di un anno.
E intanto una piccola suora indiana che lavora con gli handicappati non riesce ad avere due educatori in più perché non ha i soldi per pagarli: 200.000 L. in due, al mese. La gioia per essere qui si somma al dolore per le immagini che continuamente ti attraversano la strada, e poi alla rabbia, nonché allo schifo per come vanno le cose. E come spesso accade, ti vergogni di essere bianco.
Un caro saluto a tutti. Insh’ Allah.
21 Novembre 1996
Dopo Nairobi e Bujumbura, sono arrivata finalmente a destinazione. Il paesaggio tra queste montagne è davvero splendido, come mi avevano detto. Ed è bellissima la sensazione che dà la stagione delle piogge: tutto è vita, rigogliosissimo, di un verde intenso. Dopo un attesa più o meno lunga del volo PAM (=Programma Alimentare Mondiale dell’ ONU. 20 posti, bimotore; insomma, di quelli che ogni tanto ne cade uno, e ti senti bene solo quando arrivi a terra) abbiamo sorvolato praticamente tutto il Burundi per portare a destinazione due esponenti (…niente male) di Medecins sans frontières . Sono arrivata con lo stomaco in mano. Pero è stato bello. Si sorvola un lungo pezzo del lago Tanganyika, bellissimo, con montagne da tutti i lati. E sotto di te lo Zaire, Uvira, dove la gente s’ammazza. In genere quando si vola sull’acqua si ha l’impressione che un eventuale caduta potrebbe essere più morbida. Su questi laghi dell’ East Africa invece hai un’idea un po’ più terrorizzante: quella di finire a sguazzare tra le fauci di ippopotami e coccodrilli!!! L’aereo ci scarica a Ngozi perché a Muyinga la pista non c’è. (Ebbene sì, siamo proprio in un angolo dimenticato da Dio! Niente posta, né telefono!). Quindi ci sono circa 70 km. di strada, immersa in un susseguirsi fantastico di saliscendi, tra enormi eucalipti, acacie, piantagioni di banane e tantissime altre piante di ogni tipo, verdi, inebrianti. Questa zona di mondo ha un clima eccezionale. Si potrebbe davvero vivere come in paradiso. E ti chiedi perché l’essere umano debba sempre rovinarsi l’esistenza anche quando ha la fortuna di vivere in posti così.
Lungo i saliscendi, un’ infinità di biciclette. Il mezzo di trasporto più diffuso in Burundi.
E ne vedi di stracariche, con casse di bibite, enormi fascine di erba o pezzi di legno. E sulle salite vedi quei poveri cristi, con le ciabatte di plastica, che spingono a piedi quei carichi incredibili.(E noi sulle nostre Toyota, Suzuki, Cherokee, e quant’ altro).
Nel pomeriggio, con Paolo, ho cominciato il primo giro tra i campi di sfollati (la sola differenza con i campi di rifugiati è che vi sono unicamente burundesi, e non profughi del Rwanda).
Sono sia tutsi che hutu, in rari casi sono misti. No, c’è un altra differenza, di fondo: dei rifugiati si occupa l’HCR dell’ ONU, degli sfollati non si occupa nessuno, perché non ‘”godono” dello status di rifugiati!.
Il viaggio
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