Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Libia, IsraelePeriodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)La Seconda guerra mondiale è finita e da poco è tornata la pace anche a Tripoli, in Libia. Una pace relativa perché sotto il protettorato britannico la vita delle comunità non arabe è in pericolo costante. È così per gli ebrei, come Giulia Arbib e il fratello Larry. Quest'ultimo coltiva anche il progetto di emigrare in Palestina, anch’essa sotto mandato britannico, per unirsi alle forze del nascente stato di Israele. Larry sfrutterà i canali dell’Aliyah Bet, ovvero l’immigrazione clandestina, l’operazione grazie alla quale tra il 1945 al 1948 a decine di migliaia di ebrei è consentito di raggiungere la terra d’Israele.
Tornata la calma, usciti dall’incubo, seppur amareggiati e derubati della nostra solita serenità, ricostruiti e riaperti i negozi, si tornò pure a frequentare il Circolo Maccabi che in realtà divenne il covo d’incontro dei nostri giovani coi soldati ebrei palestinesi entrati per primi in Libia in avanguardia all’ottava armata, mandati in prima linea per risparmiare la vita ai preziosi inglesi. Larry partì fra i primi ad addestrarsi alle armi e rientrò a casa dopo solo un paio di settimane, rifiutando l’onore di fare lui stesso l’istruttore perché la smania di raggiungere la Palestina lo rodeva ed era impaziente di partire. Non passarono molti giorni che una domenica pomeriggio, diversamente dal solito, tornò troppo presto dal Circolo accompagnato da due marinai ebrei palestinesi che mi presentò e coi quali io parlai in ebraico per sincerarmi che fossero davvero dei nostri. Parlammo di tutto: di feste, di tradizioni, di usi e costumi, e perfino di Bibbia e di argomenti che, se non si era ebrei non si potevano sapere in alcun modo. Convinta e rinfrancata, chiesi quanto volessero per condurre mio fratello in Palestina e sbarcarvi soprattutto sano e salvo. Noi, niente – risposero orgogliosi – noi stessi abbiamo accettato di imbarcarci fingendo di aver bisogno di quella miseria che ci pagano, ma in realtà lo facciamo solo per patriottismo, per poter raccogliere in ogni porto quanti giovani riusciamo a portare in Palestina. Siamo in pochi laggiù, abbiamo bisogno di tutti e di ciascun giovane disposto a lavorare e a difendere la nostra Terra. Intanto eccoti i nostri documenti, copia i nostri nomi ed indirizzi in Palestina, copiali – insistettero – per tua completa tranquillità e poi… chissà? Forse un giorno c’incontreremo laggiù, a Casa?
Noi due fratelli, in un fremito di speranza ne ridemmo felici, increduli.
– Ma quanto ai soldi – riprese uno di loro – sono tutti per il nostro Comandante, un inglese ubriacone, avido, esoso che pretende 100 sterline per ogni clandestino e non li vuole in M.A.L., la vostra moneta locale, ma in sterline inglesi! Sono tante lo so, ma è sempre una fortuna che si lasci corrompere! Se no, come faremmo? È vero – risposi – ma oggi è domenica e i cambiavalute sono chiusi, come faccio a procurarvi le sterline? Le avrete domani, fa lo stesso?
– Ma noi salpiamo stasera, a mezzanotte in punto e non saremo di ritorno che fra un mese, se tutto va bene…
– Ma allora ? – chiese Larry sgomento – che si fa? L’hai promesso! – Calma – risposi – ho promesso si, e spero di poter trovare il modo di mantenere. Ecco – esclamai in un lampo di genio – vanno bene questi? dissi sfilandomi di dosso bracciali orecchini e collana, che poi annodai in un fazzoletto e porgendo loro il fagottino: bastano?
– Questi valgono molto di più, ma il Comandante vuole denaro non gioielli.
– Facciamo una cosa – dissi – voi mostrategli i gioielli, glieli proponete in cauzione; se al vostro ritorno me li riporterete, troverete le 100 sterline pronte: io riprendo i miei gioielli e voi i soldi. Daccordo? Si guardarono un istante poi titubanti dissero: Proviamo. Larry mi saltò al collo pazzo di gioia, ignaro delle conseguenze che io dovevo affrontare. Ero in croce: Cosa dirò ai miei genitori quando non lo vedranno rientrare stanotte? Intanto lui scese in camera sua, indossò l’uno sull’altro due paia di pantaloni, due magliette, due camicie e due pullover sotto la giacca sahariana, larga comoda con quattro grandi tasche dove ficcò due paia calze, due fazzoletti e due mutandine. Risalì da me cosi infagottato ed esclamò felice ai suoi accompagnatori:
– Io sono pronto, andiamo?
Stavano già uscendo quando uno dei marinai si fermò improvvisamente davanti al balcone e spaziando con lo sguardo il pa- norama, estasiato mi disse:
– Vieni prima qua fuori, vedi quella nave laggiù, la prima della fila di tre, all’estrema sinistra?
– Si, la vedo.
– Ebbene a mezzanotte in punto guarda bene la poppa, se vedi dei segnali luminosi accendersi e spegnersi – che io ti farò – significa che il Comandante avrà accettato e tuo fratello imbarcato, se no… aspettalo, tornerà una mezz’oretta dopo coi tuoi gioielli.
– Va bene, dissi col cuore in gola. Non sapevo se preferire che partisse o che mi tornasse indietro, ma mi limitai a dire soltanto: – Però mi raccomando, deve arrivare a Haifa sano e salvo. Dovete promettermelo! Se avete dei dubbi o dei timori, ditemelo subito, gli troverò un’altra occasione –.
– Il solo dubbio è se il Comandante accetta o no i gioielli, per il resto… anche noi abbiamo bisogno che arrivi indenne a destinazione!
Abbracciai forte per l’ultima volta (nella vita, purtroppo) il mio adorato fratellino, salutai calorosamente gli altri due e…. rimasi in trepida attesa della mezzanotte. Erano tante le ore da aspettare, cinque o sei. Dopo appena un’ora, non riuscii più a sopportare da sola il peso del segreto, per cui scesi dai miei, presi Laura, la mia sorella maggiore, da parte, e le confidai tutto.
Il Comandante stranamente accettò i gioielli contro il pagamento in contanti fra un mese, forse perchè mio fratello non fu l’unico clandestino quella notte, e gli altri dovevano aver pagato in sterline la loro disagiata traversata.
Laura ed io eravamo nervose, trepidanti e quasi disperate. Fra speranze e pentimenti ci piazzammo in balcone verso le undici in attesa della mezzanotte, ora in cui puntualmente sibilò il fischio della nave che vedemmo muoversi. Avevamo il cuore in gola, quando due o tre minuti dopo, vedemmo lampeggiare quelle tanto attese quanto temute luci intermittenti alla poppa! Ci abbracciammo ridendo e piangendo contemporaneamente pregando che Dio lo proteggesse!
Sapemmo poi che il Comandante pose una condizione, quella di NON veder alcun clandestino in giro per la nave, perché temeva il suo stesso equipaggio, dall’ufficiale al mozzo, per poter eventualmente dire di non saperne niente e di non aver mai visto nessuno di essi a bordo.
Il viaggio
Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Libia, IsraelePeriodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Giulia Arbib
Sette giorni in un barile
Mio fratello passò sette giorni e quasi sette notti nascosto sotto un barile di benzina vuoto,...
Addetta alla censura
L’indomani della sua partenza, con circospezione e la dovuta cautela informammo la mamma e il papà....
La morte di Larry
Passati presso Urania i primi 8-10 giorni di riposo e di distrazioni a di visite a...