Mestieri
sarta, educatriceLivello di scolarizzazione
frequenza elementarePaesi di emigrazione
FranciaPeriodo storico
Periodo post-unitario (1876-1914) Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)A soli vent’anni Anita ha già sulle spalle il fallimento di un matrimonio, celebrato senza amore e solo per affrancarsi dalla propria famiglia, e il fallimento del primo vero amore, bruciato troppo in fretta. Dopo aver vissuto brevemente a Ginevra, rientra in Francia, a , da una coppia di amici.
Andrée e Pierre mi accolsero con affetto, e mi trovarono un lavoro nella periferia di Lione come bambinaia in una famiglia che aveva otto figli. L’ultima aveva sei mesi e il più grande undici anni. La madre era maestra, in continuo congedo per maternità; il padre, ufficiale di marina mercantile, tornava giusto in tempo per farle fare un altro figlio da coccolare.
I sette mesi passati in questa famiglia furono per me un vero e proprio periodo di formazione. Questo stage mi permise di sviluppare una quantità di risorse a me sconosciute. Non mi piaceva il lavoro di bambinaia, ma mi sarei presa gli otto bambini per allevarli senza aver nulla a che fare né con la loro madre né con il loro padre. Fecero di tutto perché restassi, ma nonostante fossi ben pagata, nemmeno il clima faceva per me, visto che ero meridionale, e decisi di tornare a Nîmes dai miei nella speranza che mio marito, ormai calmo e rassegnato, mi avrebbe lasciata tranquilla e concesso il divorzio. E restai ancora qualche settimana a casa dei miei amici. […]
Alla grande gioia per il mio ritorno, seguì un grande senso di libertà. Il giorno del mio matrimonio, a diciotto anni, avevo lasciato la mia città e la mia famiglia, ed ero estremamente ignorante. Lo realizzai quando, al mio ritorno, ritrovai mia sorella che era diventata nel frattempo una bella ragazza, vestita alla moda del tempo, che faceva un lavoro che lei aveva scelto e che si guadagnava da vivere. Su di lei non veniva più esercitata la tutela familiare all’italiana, poiché mio fratello, sposato, si occupava della sua famiglia e non pensava più a controllare la sorella. Anche mia madre si era evoluta. La prima cosa che mi colpì fu che mia sorella si truccasse leggermente e portasse il rossetto. La mamma, poco dopo il mio arrivo, mi disse: “Ma Anita, perché non ti metti un po’ di rossetto come Marinette? ti starebbe bene!”. Io non lo avevo mai messo, nemmeno mi piaceva. I capelli me li aveva fatti tagliare a Ginevra Alberto, e ora li rimpiangevo. Quando mi vedi nello specchio con i capelli corti, infatti, piansi e giurai a me stessa che mai nessun uomo avrebbe influenzato più la mia pettinatura. Quando arrivai a Nîmes erano ricresciuti, ma non tanto per fare lo chignon di un tempo. Decisi allora di racchiudere i capelli in una retina che mi piaceva molto per quell’aria fiorentina che mi dava. Da quel momento vissi una vita da signorina, con mia sorella e le sue amiche. Eravamo diventate le “sorelle Fantozzi”, e per indicarmi si diceva, “quella della retina”. La prima cosa che facemmo fu quella di cercare un’altra casa. Il quartiere della mia infanzia, della mia gioventù, mi era intollerabile, perché mi ricordava quel periodo terribile della guerra e del dopoguerra.
Il viaggio
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