Mestieri
marinaioLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
India, Portogallo, SudafricaData di partenza
1914Periodo storico
Periodo post-unitario (1876-1914)È il 1914, Pietro Ernesto è un marinaio italiano che ha fatto scalo a Bombay, l'attuale Mumbai, in India. E dall’India scrive a casa ai familiari, descrivendo il contesto di vita e soprattutto di lavoro che si ritrova davanti agli occhi
7-11-1914
Miei cari
Se volessi descrivervi, con estesi particolari, tutto ciò che ha toccato la mia impressione, qui a Bombay, avrei un mondo di cose da raccontare che non finirei più, mi limiterò, allora a mandarvi degli appunti, dai quali la vostra intelligenza trarrà lo svolgimento. Bombay si distende sopra una grande e soleggiata spianata in riva al mare. Il porto è grande ed è importante. Sono numerose le navi che quotidianamente entrano ed escono, migliaia di persone sono occupate al carico ed allo scarico dei vapori. Gli abitanti di Bombay appartengono a tutte le razze — tranne la Caucasica, dei bianchi ne ho visti tanti. La città, in merito ai posti che siamo, non è disprezzabile, in certe contrade vi sono certe casettine, nascoste fra le palme, che attirano l’attenzione del passante, le botteghe invece non valgono un soldo. Qui vige ancora la schiavitù. Gli addetti ai lavori del porto sono tutti di questa gente, che li fanno lavorare sotto la sferza del bastone, ricompensandoli poi, con poco o niente di paga. Lavorano tutta la giornata, sotto il sole cocente in un continuo sudore che sembrano tolti freschi freschi da un bagno. Per lo scarico dei massi pesanti adoperano le gru le quali lasciano cadere questi enormi pesi su appositi carrelli, al tiro di questi vengono adibiti dei poveri neri, dieci, quindici, venti a seconda la bisogna, ed un bruto con un bastone in mano, urlando come una belva, sospinge i suoi simili, a logorarsi la vita, per produrre maggior ricchezza, per chi non ne ha bisogna. Il 1 novembre passeggiavo sulla banchina del porto, saranno stati un duecento tra uomini e donne, che trasbordavano del carbone dalla ferrovia ad un vapore, il sole era talmente potente che respiravo a stento eppur tanto dovevano camminare di corsa e carichi.
Ad ogni 100 metri vi erano di questi aguzzini, i quali ,sempre urlando come iene, con un frustino a la mano e se ne servivano per colpire a proprio talento. Ho visto io, con i miei occhi colpire a tutta forza le gambe di una donna, la quale cadde in terra sotto il peso del proprio carico. Povera donna! Dopo tanta tortura non si diede nemmeno il tempo di passare una mano sulla parte colpita, piangendo in silenzio, si rizzò, e via di corsa senza neanche voltarsi. Commuovono a compassione. Dopo visto queste cose, la mente si è subito rivolta al giornale – l’«Asino-, quando, anni sono, fece quella campagna contro la Chiesa, svelando di quali torture usava la Chiesa Romana.
Forse, moltissimi avranno creduto che il giornale di Roma esagerasse un po’, ma io fermamente credo, che l’Asino avrà riportato i fatti puri e genuini. Voi stessi, oggi giorno se qualcuno vi dicesse che vi è ancora tanto popolo schiavo, che deve lavorare a colpi di nervo lo credereste si e no come pure farei io, ma ora che ne sono testimone è inutile esitare. Sono abbruttiti dal lavoro e dalla fame, ma religiosi. Diverse sono le religioni che professano e quasi tutti hanno qualchecosa che le distingue. Ad esempio: taluni hanno il capo che sembre rasato, altri pure rasato solamente nell’interno e nella sommità della testa lasciano crescere una piccola treccia di capelli, che non è la famosa treccia chinese, altri (hanno) ancora capigliature pure tagliate, ma a due ordini come certi nostri cappuccini e nel mezzo pure la treccia, certi poi portano un piccolo segno in fronte che sembra un puntino fatto con gesso di color arancio. Uomini e donne vanno quasi completamente nudi, solo si ricoprono le parti immonde con uno straccio, il quale delle volte lascia distinguere il contenuto o scorgere le forme. Lo spettacolo che offrono, questi nudi,è indecente quanto mai.
Sono sudici e immondi che non si crederebbe, ma io spettacolo della sporcizia non sono solamente gli schiavi che lo offrono, quasi tutti lo sono. Dormono nel bel mezzo delle strade, sul puro selciato, che in certe contrade bisogna andar cauti per non calpestarli. Se sono degli artigiani hanno la fucina del fabbro, la bottega del calzolaio, ecc. ecc. tutt’uno colla camera da letto, ed un sol letto serve per tutta la famiglia. I figli grandi e piccoli che siano sono sempre testimoni degli amplessi dei genitori. Ieri sera nell’attraversare una delle contrade basse della città, vidi coi propri occhi marito e moglie mentre erano a letto e…. perché a motivo del caldo, non chiudono né porte né finestre. Anche i commercianti, di fianco al banco vi tengono il letto.
E questi maledetti son tanto sudici e stanno tutto il giorno raggomitolati sopra la propria merda anche se sono generi alimentari. L’altro giorno entrai in città andai in una farmacia, che era abbastanza discreta e il farmacista, conversando con due suoi amici, era sul banco e celie gambe incrociate, sedeva sulle proprie calcagna. Faceva caldo ed avevo sete, entrai in una bottega dove vendevano dei dissetanti, una bigita al latte gridai, di li a poco capitò un cameriere, senza giubba e senza scarpe, coi pantaloni rotti di dietro e mi serve tenendo le dita sporche sporche, dentro al bicchiere unto di chissà quante età. Bevetti il contenuto, perché rifiutarlo non sapevo cosa ne sarebbe seguito, a stento lo vuotai, ma fù un vero caso se non mi venne il mal di mare.
Il viaggio
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marinaioLivello di scolarizzazione
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India, Portogallo, SudafricaData di partenza
1914Periodo storico
Periodo post-unitario (1876-1914)Gli altri racconti di Pietro Ernesto Galli
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