Mestieri
videomakerLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
BoliviaData di partenza
2008Data di ritorno
2009Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gabriele Camelo si trova a Granja, una fattoria poco fuori la città di Santa Cruz in Bolivia. È dove i ragazzi di strada, quando decidono d’iniziare un percorso, passano un anno della loro vita nel tentativo di imparare a reintegrarsi. Gabriele è in Bolivia grazie a un progetto del VIS mirato proprio a reintegrare i ragazzi di strada nella vita sociale.
Granja continua ad essere per me un concentrato di emozioni contrastanti.
Provo insofferenza. Insofferenza per il sistema educativo applicato che, a mio parere, è profondamente sbagliato: castighi e lavoro e poca dolcezza; addirittura ho visto un educatore tenere per le braccia un bambino nel tentativo di farlo lavorare con la forza, il bambino, divincolandosi, è corso via. “Che è successo, Gadiel?”, “Non voleva lavorare”, “Uhm. Immagino la tua difficoltà, però prova a cercare ad essere un poco più dolce, inoltre di sicuro con la forza non si ottiene nulla”, “Però non ho usato la forza! Lo tenevo e basta!”.
Provo rabbia. Rabbia per le difficoltà relazionali (mi occupo di organizzare lo spettacolo e l’animazione per la festa annuale della Granja, dove verranno circa 200 ragazzi e bambini da vari collegi della zona; Dona Meche, di fronte alla novità di ciò che ho programmato, ha voluto che intervenisse un altro animatore, che altri anni ha aiutato loro per i giochi, con conseguente incazzatura istintiva da parte mia – per il cambio di programma e per la mentalità rigida ed autoritaria di Dona Meche).
Ma provo anche affezione, splendida affezione. L’affezione che giorno dopo giorno cresce verso questi ragazzi (Daniel mi chiede aiuto per scrivere una lettera d’amore ad una compagna di classe che gli piace, Sergio mi abbraccia sempre e chiede che io gli faccia da padrino, Enrique mi mette davanti il suo quaderno perché io guardi i compiti che lui fa…),
E provo gioia. La gioia di lanciarmi ad essere bambino/ragazzo con loro, cercando sempre di parlare il “loro” linguaggio. E da lì, da lì dentro il loro mondo, provo a guidarli per farli crescere. Così un pomeriggio li trovo che sguazzano dentro un’aula con il pavimento bagnato, appena bagnato per le pulizie di turno. Si lanciano scivolando da una parete all’altra. “Facciamo un patto ragazzi!”. “Che patto?”. “Ora noi giochiamo qua, io porto anche il sapone, ci tuffiamo sul pavimento, a patto che dopo puliamo ben bene tutto, non solo quest’aula, ma anche il pavimento di fuori”. I ragazzi sono contentissimi, accettano il patto, porto il sapone, mi tuffo con loro schizzando da una parete all’altra e scontrandomi coi corpi scivolosi e bagnati degli altri, che prendo e lancio come palle da biliardo e loro ridono e si fiondano su di me e per qualche momento io sono come loro e con loro.
Da soli, dopo, prendono gli stracci, lavano, e asciugano tutto.
Felici.
Felice.
Il viaggio
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