Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
CambogiaData di partenza
2003Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Claudia arriva nella regione di Crey Laos, Tatoich è uno dei villaggi a circa 40 chilometri ad est di Phnom Penh. Entra in contatto con la sede della missione in cui trascorrerà alcune settimane a insegnare l’inglese ai bambini locali.
Tatoich è un pezzo di questo invariabile paesaggio rurale, non distinguibile all’occhio estraneo, né per densità di abitazioni, né per loro forma o disposizione. Si arriva a Tatoich semplicemente perché qualcuno dice che si è arrivati a Tatoich. Lungo i margini dello sterrato capanne di legno e paglia si succedono regolari. Costruita su un pezzo di terreno messo a disposizione dalla famiglia Ven, sulla destra una palafitta azzurra è la base dello Human Life Project Cambogia. All’arresto del pulmino persone sorridenti escono dalle capanne vicine. Salutano affettuose Cristina, presentandosi cordiali a me che, un po’ imbarazzata nella scelta del saluto, ora li abbraccio, ora li bacio, ora stringo le mani, ora le unisco davanti al viso inchinandomi. Ci offrono due grosse noci cocco da bere con la cannuccia e chiedono in inglese notizie di coloro che conoscono e di me. Le donne restano un po’ in disparte, sorridendo. Un’anziana dai capelli cortissimi ci raggiunge dalla strada. Mastica qualcosa e la sua bocca sembra piena di sangue. Alcuni ragazzi si intrattengono con me esercitando il loro inglese con le domande di rito: What’s your name? How old are you? How many brothers and sisters have you got?,.. I loro volti sono così sorridenti! Dopo aver consegnato loro alcune missive dall’Italia e alcune foto ci ritiriamo per un riposino. Il caldo così umido e appiccicoso da non far respirare mi rende difficile recuperare le ore di sonno perse nel jet lag, e le voci dei bambini sotto di noi mettono fine al nostro ritiro. E’ l’ora delle classi d’inglese. La prima alle 4.00 p.m. è quella di Mao, un ragazzo dall’inglese stentato e dalla comunicazione un po’ impacciata che mi chiede subito con umiltà un aiuto metodologico e linguistico per i prossimi giorni. Prima della lezione concordiamo un po’ il da farsi e alle 4.00 p.m. circa quaranta bambini dagli otto ai tredici anni circa (che ai miei occhi apparivano di almeno tre anni più piccoli) sono seduti, stretti, nei vecchi banchi di legno, chiedendo subito con lo sguardo e con la loro postura di apprendere qualcosa. Alcuni di loro, cinque o sei in fila, si presentano a me offrendomi ognuno una o più noci di cocco. Gli domando il nome e ringraziando dico il mio. Un’altra bambina mi offre un pacchettino, che più tardi condividerò con Cristina, contenente dei dolcetti di riso a forma di muffins, avvolti in foglie di banana e ricoperti di polpa di cocco. Un’altra, arrivata dopo, mi fa dono dí un insieme di piccoli frutti arancio tenue legati insieme, l’uno sull’altro, da un nastro chiaro, uno di quelli che, intrecciati, caratterizzano la nostra domenica delle palme. Il sole tramonta e in una temperatura assolutamente e invariabilmente calda e appiccicosa si avvicina l’ora della cena. I colori intorno sembrano subire un processo di ravvivamento come quando si interviene sullo schermo di un televisore girando la manopola del colore: il verde diventa più verde, l’azzurro si avvicina al blu, il chiarore del sole all’arancio, la terra al rosso. Dopo una rinfrescata ci si ritrova a cena in quattro, Cristina ed io, Saodi e mister Ven Tagh: riso, pomodori saltati con della carne tritata, zuppa di cipolle e pesce e uno strano pesce essiccato salato e affumicato da prendere a pezzetti con le mani e sgranocchiare. Poi le banane: piccole e tozze, dalla buccia sottile. Tempestate da moscerini e zanzare, poco dopo, sotto un cielo ormai fitto di stelle velate dal chiarore di una luna generosa dispensatrice di preziosa luce notturna, andiamo a dormire, sotto una rassicurante quanto comoda zanzariera.
Il viaggio
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