Paesi di emigrazione
ZambiaData di partenza
1987Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Cereda descrive la dura realtà di vita in Mozambico, dove i bambini vengono rapiti dai guerriglieri e costretti a imbracciare le armi.
Visita non ufficiale al “Centro Educacional de Chihango”, dove vengono raccolti e ospitati i minorenni orfani di guerra o bambini che scappano dalla boscaglia e arrivano in città senza sapere dove andare.
Maputo (Mozambico). La baia é splendida, con la sabbia bianca e fine e le palme alte e rigogliose. Percorriamo sulla fuoristrada alcuni chilometri di pista sterrata lungo la costa, oltre il villaggio di pescatori: i grattacieli di Maputo sono ormai fuori dal nostro orizzonte. Il centro sorge isolato, e adesso é considerato “zona a rischio”: di notte é possibile qualche visita dei bandos, i guerriglieri della RENAMO. Quello che colpisce, al nostro arrivo, è un silenzio pesante, quasi innaturale. Certo, nessuno ci aspetta, la nostra e una visita a sorpresa, non abbiamo informato nessuno al Ministero dell’educazione, da cui dipende il Centro. Però, dove ci sono bambini, uno si aspetta di sentire gridi, schiamazzi, giochi e corse. Invece, silenzio. Siamo in tre, Elias un giovane mozambicano che lavora a Radio Mozambique (musica e informazione), Cristina una ragazza portoghese nata e cresciuta a Maputo ed io. Una rapida occhiata esterna alle strutture: piccoli capannoni sparsi qua e là in una rada boscaglia e alcune costruzioni simili a bungalow in mezzo a una radura. Ci dirigiamo verso le costruzioni che sembrano essere gli uffici. Alcuni uomini stanno seduti sulla veranda, chiediamo loro di poter parlare con il responsabile. L’ufficio é spoglio, vecchi mobili della burocrazia portoghese, poltrone consunte e il ritratto ingiallito del compagno presidente Chissano. Sulle prime il Sig. Francisco Milandu, direttore del Centro, é diffidente: chi siete, perché volete visitare il Centro? Avete i permessi del Ministero? Le porte sembrano irrevocabilmente chiuse, quando accenno timidamente che siamo amici di suor Ivanì, e che é stata lei a suggerirmi di visitare il Centro per rendermi conto personalmente della situazione. Le cose cambiano radicalmente e il Sig. Francisco sorride e comincia a raccontare. Il Centro raccoglie i bambini soli e abbandonati che vengono dalle campagne: l’età é compresa tra i 7 – 18 anni. Attualmente sono ospiti 138 bambini, di cui 12 femmine e 124 maschi. Il motivo di questa disparità numerica tra i sessi é davuta al fatto che é relativamente più facile trovare una famiglia che vuole adottare una ragazzina, mentre c’é il timore che i ragazzi siano “pericolosi”. Molti di loro infatti sono fuggiti dalle fila dei banditos della RENAMO, che li rapiscono alle famiglie e li addestrano alta guerriglia. Alcuni di loro a 12-14 anni hanno già sulle spalle più omicidi all’arma bianca. E’ la guerra. Dopo il 18° anno di età i ragazzi sono mandati nell’Esercito, per prestare il servizio di leva obbligatorio. Il Centro é dotato di una scuola elementare (dalla prima alla quinta) con 11 maestri e 8 educatori, che non hanno però alcuna formazione specifica per il tipo di lavoro che sono chiamati a svolgere tra questi bambini. Per le scuole medie gli ospiti del Centro vengono mandati (a piedi) a Maputo in normali istituti pubblici; poi al pomeriggio tornano per continuare lo studio e la formazione professionale secondo i programmi. Il Centro infatti é dotato di una falegnameria, di un orto, di un panificio e salumificio dove i ragazzi possono apprendere un mestiere. Tutta la giornata é rigidamente programmata: dalla sveglia alle 5.30 al silenzio alle 21.00. Il regime e l’organizzazione del tempo di tipo militare vorrebbe dare ai giovani un senso di ordine e disciplina, già perso da molto tempo… Forse non é solo di orari che hanno bisogno i bambini di Chihango… I principali problemi che il Centro vive sono dovuti, sempre secondo il direttore, dalla assoluta mancanza di personale specializzato per l’educazione e la crescita di questi ragazzi, con alle spalle storie terribili di guerra e violenza. I maestri sono normali maestri di scuola elementare ed i programmi scolastici sono gli stessi delle altre scuole. Ci sono dei cooperanti esterni (uno psicologo brasiliano) ma i loro contratti sono molto brevi, al massimo due anni. Per fortuna ci sono persone come suor Ivanì, che danno i loro aiuto gratuitamente e con costanza. Un altro problema é quello delle “fughe” dei ragazzi, soprattutto i più grandicelli, che scappano per andare in città: vogliono andare al cinema, vedere i negozi, incontrare le ragazze. Poi rubano, per mangiare o per comprare un paio di scarpe o una maglietta. Di solito però ritornano sempre al Centro. Alla fine del discorso del direttore, chiediamo di poter visitare all’interno le strutture. Cominciamo dalle classi: non distano molto dalla media delle aule africane, pochi banchi e sedie a pezzi, pareti spoglie, vetri inesistenti e la lavagna a muro con enormi crepe che somigliano a cicatrici. Poi le camerate, dove l’odore di escrementi proveniente dai servizi igenici senz’acqua é insopportabile. Sembrano tane di strani animali selvatici, con stracci e pezzi di gommapiuma sul pavimento di cemento. Una volta forse c’erano dei materassi e delle brande… Il giro continua e nel cortiletto della cucina alcuni bambini stanno seduti e ci guardano. Quando mostriamo di voler fare una fotografia, si coprono il viso con le mani. È strano, é la prima volta che bambini africa sfuggono all’obiettivo: il loro sorriso é dolce e i loro occhi grandi, come sempre, ma il loro giovane orgoglio non ti permette di capire le vite bruciate troppo in fretta, nell’odio e nella disperazione. Sono comunque troppo silenziosi per la loro età i bambini della guerra, i bambini di Chihango. Il giro continua: le cucine, la mensa, l’infermeria… L’abbandono e la miseria regnano ovunque. ma il governo non ha fondi? Il governo e in guerra, deve difendersi dalle distruzioni dei banditos: a chi volete che interessino questi bambini? Ringraziamo il Sig. Francisco Milandu e ripartiamo. Per strada Elias mi dice che lui c’era già stato due volte al Centro, in visita ufficiale. Aveva trovato tutto diverso e “in ordine”… anche i bambini in fila che cantavano l’inno nazionale. È il tramonto, l’ora più bella dell’Africa, l’ora del riposo dopo una giornata di fatica per vivere. Ripassiamo dal villaggio dei pescatori e le barche, dalle vele colorate fatte di stracci, stanno rientrando. In cielo cinque elicotteri tornano alla base dopo le quotidiane operazioni di guerra nella boscaglia. Il loro ronzio rompe la quiete della sera e rimane a lungo nelle orecchie, come un tarlo. Per ricordare a tutti – e purtroppo ce n’é ancora bisogno – dell’assurdità di questo conflitto “a bassa intensità ” a cui il Mozambico ha già sacrificato un’intera generazione (più di cinque milioni di morti) di persone, una terra martoria e resa improduttiva dalla paura e dalle bombe e il sorriso dei bambini abbandonati di Chihango.
Paolo Cereda
(Maputo – luglio ’89)
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