Mestieri
funzionarioLivello di scolarizzazione
Diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
AlgeriaData di partenza
1955Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
lavoroTemi
lavoroAll’arrivo a Bechar, città isolata nel deserto algerino, Giorgio prende servizio presso la ditta francese che lo ha assunto e che lo impiega presso una base missilistica. Le mansioni che gli sono riservate sono diverse da quelle pattuite alla partenza. Giorgio è un geometra, è convinto di dover lavorare in un cantiere edile. Ma si ritrova a operare scavi a colpi di dinamite. All’inizio fa buon viso a cattivo gioco, fino a quando non viene coinvolto in un episodio pericoloso.
La mattina successiva al mio arrivo venne spesa per le formalità. All’ufficio di collocamento mi viene consegnata una tessera di lavoro con la mia qualifica: specialist en beton. Il mio capoufficio mi accompagnò quindi all’ufficio di polizia, per farmi conoscere il commissario e, con mia grande sorpresa e disappunto, mi fu comunicato che avrei dovuto eseguire un lavoro a me completamente sconosciuto. Nel grande centro militare che, per avere un’idea, era paragonabile alla Cap Kennedy statunitense, tutto doveva essere eseguito con eccezionali criteri di difesa e sicurezza. Le reti idrica, elettrica, telefonica, del gas e fognaria dovevano essere costruite interamente interrate ad una profondità di un paio di metri. Il terreno era roccioso e non bastavano le pale meccaniche per eseguire gli scavi. Era necessario far saltare quella roccia con cariche di esplosivo. Il mattino successivo, accompagnato da chi mi aveva preceduto in quel lavoro e da due manovali indigeni, entrai con il lasciapassare della polizia nella base, tenendo ben stretto tra le mani un sacco carico di candelotti di dinamite, micce e detonatori. Avevo un gran nervosismo addosso, quasi mi dovesse succedere qualche cosa di spiacevole. Avrei voluto dire che il mio lavoro doveva essere un altro, ma non trovai il coraggio per farlo al primo giorno di dipendenza da quella ditta. Stetti al gioco e aspettai che gli eventi maturassero.
L’uomo che andavo a sostituire quell’incarico, mi fece conoscere la fascia di terreno che avrei dovuto minare, poi ordinò all’uomo addetto alla macchina trivellatrice di effettuare una serie di fori, in ognuno dei quali infilò una carica di dinamite con detonatore e miccia che usciva dal terreno per un paio di metri. Sopra l’area minata furono appoggiate spesse lastre di ferro zavorrate con pesanti massi. Con un megafono avvisò l’imminente pericolo dell’esplosione ai cantieri intorno a quella zona; poi diede fuoco alle micce e dopo qualche minuto l’esplosione fece sobbalzare le lamiere di ferro zavorrate. A quel punto entrò in funzione la ruspa per rimuovere la roccia frantumata. Dopo avermi raccomandato alcune particolari attenzioni, soprattutto per il dosaggio delle cariche, mi lasciò solo con quella responsabilità molto gravosa. Per qualche giorno feci quel lavoro antipatico, poco gratificante. Ogni mattino andavo alla gendarmeria, consegnavo i bollettini dell’esplosivo consumato, facevo verbalizzare il materiale in giacenza. Prendevo il mio sacco e ritornavo al cantiere. Un giorno, a metà mattinata, sentii la sirena della polizia, due camionette affiancarono me e i due algerini al mio servizio. Senza neppure rivolgermi la parola, ammanettarono i due, prelevarono il sacco dell’esplosivo e mi intimarono di presentarmi subito alla gendarmeria. Confesso che mai mi ero sentito il cuore in gola come in quel momento. Mi chiedevo cosa poteva essere successo e mi era di conforto il fatto che non avessero ammanettato anche me. L’Algeria, in quegli anni lottava per ottenere la sua indipendenza che avrebbe conquistato nel 1961. Gli atti di terrorismo accadevano frequentemente.
Appena entrato nell’ufficio, il commissario mi fece sedere e poi, indicando un sacchetto sul tavolo, mi disse : “Lo apra e guardi cosa contiene”. Aperto il sacchetto, mi sentii raggelare, conteneva tanti piccoli frammenti di dinamite, più o meno mezzo chilo di roba pericolosissima e tutto, a quel punto, fu chiaro. I miei due manovali, come diligenti formichine, ogni volta che io tagliavo un candelotto, per dosare una carica, raccoglievano le briciole che cadevano a terra infilandole nelle loro tasche. A mia insaputa sarei potuto diventare complice di terroristi dinamitardi.
Le mie malizie, malgrado i giorni vissuti nel clima della guerra, non furono sufficienti a non farmi fregare da quei due. Avevo ventuno anni, mi fidavo ciecamente di quelle due persone che con me avevano un comportamento cordiale e gentile.
Nel frattempo era arrivato in quell’ufficio il capo della ditta, a quel punto non ebbi esitazioni, dissi che quel lavoro non era fatto per me; ero venuto a Colomb Bechar per dirigere un cantiere edile. Fui liberato da quel compito gravoso, ma le cose non sarebbero poi migliorate tanto.
Il viaggio
Mestieri
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Diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
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1955Periodo storico
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