Mestieri
commessoLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Pasquinelli giunge ad Addis Abeba il 21 febbraio del 1937, all’indomani del fallito attentato al vicerè d’Etiopia Rodolfo Graziani, da parte della resistenza etiope. Un atto di ostilità al quale fece seguito la brutale repressione ordinata da Graziani, che provocò migliaia di vittime anche tra i civili.
21 febbraio 1937, Moggio
Alle dieci partiamo per Addis Abéba ove giungiamo alle quindici, quasi in tutto il percorso abbiamo costeggiato la linea ferroviaria, ci fermiamo alla periferia della città in un grande spiazzale con le macchine messe a semicerchio, qui, davanti a queste piantiamo le tende. La prima vera città europea che vedo: si vorrebbe subito andare fuori accampamento, ma ci viene proibito di muoverci perché la città è in stato d’assedio dall’altro giorno, causa l’attentato fatto al Viceré S.E. Graziani da indigeni sottomessi. Ora mi spiego tutti i tucul, capanne, case che ho visto bruciate e demolite alla periferia della città, poi se si guarda in giro non si vede un indigeno nemmeno col binocolo, ma è naturale. Truppe indigene e nazionali più ancora i borghesi hanno avuto carta bianca per tre giorni, cioè come vedevano un indigeno potevano ammazzarlo. Sul tratto di città percorso in macchina ho visto la stazione ferroviaria, che è una bella costruzione ampia con tutte logge, orologio al centro; la strada è asfaltata e ai lati belle palazzine stile novecento di recentissima costruzione.
22 febbraio 1937, Addis Abéba Da ieri sera sono di servizio di guardia. Smonterò stasera alle diciassette. Stamane la città era immersa nella nebbia, l’assedio è terminato.
23 febbraio 1937, Addis Abéba Stamane scappo dall’accampamento per andare a fotografare la stazione ferroviaria e nel pomeriggio il ghebbì del Negus, rischiando una punizione se i superiori mi vedono fuori in città e una polmonite per la sudata fatta per correre e tornare al più presto. La città vecchia indigena da me visitata, in prevalenza tucul, è tutta diroccata e bruciata per il fatto dei giorni scorsi: certo che hanno avuto una ben dura lezione e credo che non avranno più voglia di incominciare. Stasera apprendo che il ghebbì fotografato stamane è quello della residenza vicereale e non quello abitato dal negus. Vado in città prima della libera uscita per avere più tempo per visitare la città e ritorno che la ritirata è suonata da un pezzo, però l’ho passata liscia, nessuno se n’è accorto. Addis Abéba è una vera città europea, forse l’abitato è un po’ troppo sparso, le strade sono tutte asfaltate, ci sono palazzi e villette circondate queste ultime da giardini, un intenso via vai di persone e automezzi come in una nostra metropoli. Nei crocevia ci sono vigili urbani indigeni che dirigono il traffico. La città è divisa in quartiere indigeno e quartiere europeo; la popolazione, bianca in prevalenza: prima che si venisse noi italiani era francese, ci sono negozi di tutti i generi, alimentari e di merci varie, calzolerie, orologiai, orefici, barbieri, sarti e sarte, bar, cinema, trattorie, alberghi, panetterie ecc. ecc.. Ho visitato la chiesa copta di San Giorgio ma tutto è rotto e bruciato dalle orde abissine prima che le nostre truppe entrassero in città. L’esterno, per quanto anch’esso rovinato è ancora passabile, ma l’interno è tutto annerito dall’incendio, le pareti sono coperte di pitture su tela, tutte annerite, bruciacchiate e strappate dall’alto in basso, dal soffitto pendono i resti di un candelabro di cristallo azzurro, che ora però è tutto nero pure lui. Nel centro della chiesa i resti di quello che era stato un altare, appoggiato al muro un crocifisso, sopra il piano dell’ex altare un quadretto di legno scolpito raffigurante un angelo. Le vesti che servivano alle funzioni religiose sono in terra tutte annerite e strappate insieme pure a due vecchi messali scritti in amarico, anch’essi mezzi bruciati: questo è quanto rimane della chiesa di San Giorgio. Ricordo che entrando in chiesa c’era un moretto che stava lì come un cane frustato e mi disse mostrandomi, con un gesto tutta quella rovina: “abissino non bono”.
Il viaggio
Mestieri
commessoLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Olimpio Pasquinelli
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