Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
UngheriaPeriodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Dopo l’armistizio dell’8 settembre la famiglia di Fiorenza Di Franco si trova in Ungheria, per un incarico diplomatico del padre. La scelta di non aderire alla Repubblica di Salò crea subito problemi con gli occupanti nazisti.
Dopo l’8 settembre 1943 non potei più frequentare la seconda ginnasio nella Scuola Italiana di Budapest che aderì alla Repubblica di Salò. La Legazione badogliana organizzò dei corsi per noi figli di funzionari ed impiegati della nostra rappresentanza. Eravamo pochi ragazzi e così le varie classi erano unite ma questo studio durò poco poichè la notte fra il 18 e il 19 marzo 1944, la Germania non fidandosi più dell’Ungheria e per risolvere la questione ebraica che secondo i tedeschi, il governo ungherese non prendeva troppo seriamente, la invase militarmente. Infatti la scusa ufficiale fu che la presenza senza limitazioni di circa un milione di ebrei era una minaccia concreta alla sicurezza delle forze armate tedesche nella penisola Balcanica. Quella famosa notte i carri armati tedeschi passavano sotto le nostre finestre e ci svegliarono. Io corsi in camera dei miei genitori, forse un po’ impaurita. Ad un certo punto suonò il telefono. Mio padre rispose. Era il generale Voli. Comunicava a mio padre che la Legazione, dove lui abitava pure, era stata circondata dai tedeschi. Sicuro di essere arrestato dava le consegne a mio padre, secondo in grado della nostra rappresentanza diplomatica. Non riuscì a terminare la conversazione perchè, come aveva previsto, i tedeschi tagliarono i fili del telefono. Assistevo anch’io a questa drammatica telefonata. All’alba di quella tragica notte, quando i carri armati tedeschi cessarono di passare sotto le nostre finestre, mio padre e mia madre andarono a nascondersi presso mia cugina Hedi. Da lì mio padre continuò i contatti con il governo ungherese e richiese l’internamento in Ungheria, onde evitare la deportazione in Germania, del Corpo Diplomatico, degli impiegati della Legazione, dei professori dell’Istituto di Cultura Italiano che, – a differenza della maggioranza dei professori della scuola italiana -avevano aderito al governo di Badoglio, nonchè di tutti i loro familiari, e dei cittadini italiani che avevano optato per il Re invece che per Mussolini. La data dell’internamento fu fissata per il 5 aprile 1944. Il 3 aprile alle sei del mattino mio padre si mise a fare colazione. Aveva appena cominciato a mangiare un uovo alla coque, quando sentimmo suonare alla porta. Era la Gestapo. Siccome non aprivamo, cercarono di buttare giù la porta, così li lasciammo entrare. Erano in quattro, due armati di mitra e due di pistole, con i classici impermeabili neri della Gestapo. Vollero andare nel salone con mio padre e io li seguì. Come prima cosa chiesero dove fosse la cassaforte con la scusa che cercavano documenti della legazione. Mio padre la aprì per mostrare loro che non ne aveva. Subito si impossessarono dei nostri gioielli e della collezione di monete d’oro di mio padre. Si vedeva chiaramente che il loro scopo era il furto e non i documenti. Si accomodarono sulle poltrone e cominciarono a parlottare fra di loro consultando una lista. Io che parlavo bene il tedesco, non solo cercavo di sentire quello che dicevano, ma mi misi anche a sbirciare i nomi della lista. Se ne accorsero e uno di loro mi dette uno spintone con la mitragliatrice, io però avevo già visto i nomi e appena se ne andarono avvertii quelli che volevano prendere e così li salvai. Fra questi c’era anche mio fratello Italo. Ad un certo momento uno di loro andò in giro per ispezionare la casa e io lo seguii. Successe un fatto tragicomico. La “mademoiselle” spaventata dall’arrivo dei tedeschi, si era nascosta nella camera che divideva con la bambinaia. Come cittadina di un paese nemico della Germania, la sua paura era più che giustificata. Non so per quale ragione la bambinaia che era ungherese aveva messo una foto incorniciata di Hitler sopra il suo letto – a dire la verità mi sono sempre scordata di chiederglielo, anche dopo la guerra quando ritornò da noi come governante – comunque, questo fatto aiutò la “mademoiselle”. Infatti il tedesco entrò pure nella loro camera e vedendo la foto di Hitler le chiese se era sua. Tutta tremante e sbiancata in viso rispose in tedesco di sì, così quello della gestapo la lasciò in pace e non le chiese altro, e lei si salvò. Dopo questa ispezione, dissero a mio padre che doveva seguirli, senza nessuna spiegazione. Non gli permisero nemmeno di salutarmi o abbracciarmi.
Il viaggio
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