Mestieri
addetto stampaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
AustraliaPeriodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Mentre la storia con il fidanzato David va peggiorando, Ursula Galli viaggia alla scoperta dell’Australia.
Di notte si alzò vento. I granelli di sabbia rossa picchiettavano sul vetro della mia finestra. Coober Pedy è arida, i minatori abitano sottoterra per resistere all’escursione termica. Avevo visitato una di quelle case sotterranee, sembrava la grotta dei Flinstones, su misura per il turista. Un ingegnere minerario, un greco butterato, mi aveva invitato a bere qualcosa, la sera, al bar del motel. Non mi ero fatta vedere. Ero rimasta chiusa in camera, preparandomi una zuppa di funghi in busta con il bollitore del tè e avevo mangiato anche una scatola intera di formaggini Mio, trovati al supermercato sotterraneo, succhiandoli direttamente dalla stagnola.
Mi alzai presto, per risalire sul pullman. Vicino a me c’era Alex, un vecchietto che parlava un incomprensibile slang di Victoria. Era un ex militare, allevava pecore. Da quando eravamo partiti non si era mai tolto di dosso la sahariana e si sentiva.
Nei sedili di fronte, Joyce e Bruce, una coppia di mezza età di Melbourne. Grassi, tutti e due in calzoncini, vene varicose sulle gambe, sempre sorridenti, ridanciani, reciprocamente pieni di attenzioni. Avevano messo da parte i soldi una vita, per fare quel viaggio.
Ci fermammo in un motel in mezzo ad un deserto di sabbia rossa, una pompa di benzina antiquata, da pubblicità, camion con il rimorchio più lungo che avessi mai visto. Uno si era ribaltato e aveva sparso centinaia di limoni gialli, ovali, sulla terra bruciata dal sole.
Non c’era il telefono in camera, uscii per telefonare da una cabina. David non rispose. Feci un breve saluto a mia madre. Qualche giorno prima mi ero infuriata con lei perché avevo scoperto che ascoltava da un secondo telefono le mie telefonate a mio padre o a mio fratello.
Mi accorsi che la cabina era circondata da aborigeni, scalzi, malvestiti. Ebbi paura, nel portafogli avevo tutti i miei soldi, documenti, la carta di credito. C’erano anche dei bambini, capelli biondi spettinati, moccio al naso. Qualcuno mi aveva detto che erano come gli zingari, abilissimi negli scippi. Una volta io ero stata scippata, a Firenze, nel sottopassaggio di Santa Maria Novella, da una mamma Rom e dai suoi bambini.
Mi decisi ad uscire dalla cabina telefonica. Gli aborigeni non mi guardarono nemmeno, chiacchieravano, in uno strano dialetto pieno di “r”, bevevano birra, gesticolavano. Erano venuti a comprare da bere al bar del motel con i loro camioncini scassati, questo doveva essere il loro punto di ritrovo, in un’area dove le fattorie distano chilometri e chilometri una dall’altra.
Mi chiusi in camera, mi addormentai di schianto, sognai una mia compagna di classe delle medie.
Da quando avevo lasciato l’Italia, non avevo mai sognato l’Australia. Un po’ come quando sei bionda e ti tingi i capelli di nero, continui a pensare a te e a sognarti bionda.
Non ero mai stata così a lungo lontana da casa. Le mie amiche, il caffè in Baracchina, i giorni di Natale tutti uguali.
Non sapevo ancora bene che effetto mi facesse, essere sola. Mi ero scattata delle foto nuda, con l’autoscatto. Le avevo strappate subito dopo averle fatte sviluppare. Chissà che faccia aveva fatto lo sviluppatore, quando mi aveva visto apparire dal negativo, prosperosa, con un’espressione stupida in faccia.
Cenammo in un altro motel, mi lacrimavano gli occhi per il fumo della grigliata. Un aborigeno per turisti mi aveva mostrato come si mangia un verme. Nutricious and delicious.
In un pub isolato nel deserto, alcuni agricoltori mezzi ubriachi ascoltavano Romina Power che dal juke-box cantava Il ballo del qua qua.
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