Mestieri
consulenteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
CinaData di partenza
1988Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Roberta Gandolfi descrive le pessime condizioni di vita alle quali si dovrà adattare durante la sua permanenza a Pechino, nel 1988, dove si è recata per perfezionare la conoscenza della lingua.
I servizi sono uno spettacolo agghiacciante: una fila di buchi per terra segnala le zone di emissione degli escrementi; ci si deve chinare sulle gambe, senza toccare nulla; un muretto molto basso serve a garantirti una certa intimità dal collo in giù, lasciando interamente scoperta la tua faccia al tuo vicino di sventura, che potrà individuarti al primo rumore sospetto. Il guardiano ci suggerisce di farci un paio di ciabatte di dieci centimetri sovrapponendo le suole di due paia, altrimenti potremmo prendere almeno un migliaio di virus. A terra c’è di tutto: residui che non hanno centrato i buchi, sporcizia, fango. A lato di questo squallore, le docce. Cinque in tutto per duecento persone, con stratificazioni antiche di sporcizia ovunque, ad acqua fredda. L’acqua calda, ci informano, viene erogata solo il giovedì sera per un’ora e bisogna fare la fila per riuscire a lavarsi. Praticamente si deve lottare per accedere a tutta quella merda. Foto ricordo. Il tutto immerso in un odore terribile di fogna. Analizzando quel luogo infame, scuoto la testa, e già prevedo una chiusura per ferie di tutti i miei orifizi. Io, che vengo da una casa dove la pulizia è una regola quotidiana irrinunciabile, faticherò ad adattarmi a questa situazione. Roberta mi sorride perché sa bene a cosa penso. Non se ne preoccupa più di tanto: troveremo un modo per risolvere quelle discrepanze.
Un salto alla mensa annienta quel briciolo di buon umore che sempre conservo in casi come questo: si mangia cinese, il che non sarebbe tremendo, ma si mangia roba schifosa, visto che l’Università non ha soldi e usa ingredienti di pessima qualità per nutrire gli studenti. Lancio un’occhiata ai pentoloni che si intravedono da un vetro che separa il refettorio dalle cucine: unti, straunti, con strane vomitevoli brodaglie, pezzi di carne di dubbia provenienza, salse colorate. So con certezza che il pacchetto dei Cracker Misura che mi ha fatto compagnia durante il viaggio sarà un ottimo nutrimento per i miei prossimi dieci giorni. Mi rifiuto di mangiare la merda; posso camminarci sopra, posso toccarla, ma non posso assolutamente ingoiarla. Questo è troppo!! Il guardiano ci dice di controllare sempre il tabellone all’entrata del dormitorio: lì, ogni lunedì mattina, ci comunicano le condizioni di salute dell’intero centro studi, ossia, data la densa concentrazione di gente in una struttura priva di comodità e di servizi, le eventuali epidemie o contagi che si diffondono a macchia d’olio. Potrebbe essere una congiuntivite, un’infezione intestinale, una malattia della pelle, un’influenza micidiale, e via di seguito. Nel cosiddetto parco interno del campus, c’è una piscina per chi ha veramente un coraggio da leone, un negozietto che vende biscottini e latte di mandorle e una specie di cartoleria.
Il campus è recintato e gli estranei non sono ammessi. Anche i professori che ci faranno lezione vivono con noi in un edificio a parte.
Io e Roberta disponiamo le nostre cose alla meno peggio, armandoci della pazienza necessaria ad affrontare questi due mesi di angoscia.
Il viaggio
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