Il cavallo bianco di Mussolini

Si sapeva sin da fanciulli che da adulti ci avrebbero chiamati al servizio militare per l’addestramento, ma niente di più, invece eravamo finiti in Libia. Dopo giorni di adattamento climatico, all’ordine del giorno vi erano, e prima brevi e poi sempre più lunghe, marce di esplorazione di quel terreno desertico ricoperto di pietre e di sterpaglia, in cui, per vedere qualche palma e un po’ di verde, dovevi avvicinarti alle rive del mare o imbatterti in qualche oasi dove, pochi intraprendenti libici, portavano avanti una sparuta coltivazione ortofrutticola per consumo locale e familiare. Tra le più vendute sulla bancarelle erano l’anguria e le carote. Per quella popolazione il reddito era zero mancava qualsiasi fonte di lavoro se non per poche unità che si adattavano al lavoro portuale e per altri che cercavano lo scambio di pastorizia, come capre, agnello e anche cammello. La Libia, certo, non era solo quella, con i suoi mille e più chilometri di estensione che va dall’Egitto alla Tunisia, vi si potevano ammirare zone bellissime e molto fertili, io ebbi la fortuna di essere incluso nel battaglione della Divisione Marmarica, che partecipò alle grandi manovre che si svolsero a Tripoli nell’estate del 1938, dove, a conclusione di esse, vi fu, niente meno, che la presenza di Mussolini con il cavallo bianco. La Libia non era solo deserto come la parte orientale dove, purtroppo, io ero destinato a trascorrere la vita militare, ma facendo la strada a bordo di un autocarro militare partendo da Tobruch verso Tripoli, si potevano ammirare zone bellissime, fertili e rigogliose come Barce, Sirte, Agedabia.