Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1948Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Annibale Mattavelli è al lavoro in miniera, a Farciennes in Belgio, quando accade un fatto che scatena la sua ira.
La prima notte al Saint Michel ho visto finalmente un mondo che in altre zone minerarie non esisteva più da anni, un mondo ormai scomparso, sopravvissuto se non nei romanzi di alcuni veristi. Forse. Il sgradevole compagno di lavoro è un ex collaboratore dei tedeschi e ha un aspetto orribile. È un grosso bevitore di birra, è sempre ciucco e ha un pancione enorme. Beve birra di scarsa qualità e quindi puzza da far rivoltare. Gli balla sempre la pancia, dentro cui ci dev’essere un laghetto carsico pieno di salamandre d’acqua dolce. Il fatto che sia stato un collaboratore nazista non mi dispiace poiché ora so che prima o poi, appena me ne darà l’occasione lo prenderò a legnate. Non sa una parola né di francese né di tedesco. Come me del resto, però mi chiede ogni tanto se parlo russo. Certo è scemo. Il lavoro consiste nel rifornire la testa della galleria, cioè l’avanzamento, di legname per il lavoro diurno nella taglia di carbone per armarne il tetto, soprattutto là dove può esserci una tenuta precaria. Si tratta di scarrellare una fila di vagoncini carichi di bois per alcune centinaia di metri su un binario scassato, tutto storto, causa di numerosi deragliamenti.
Il cavallo è stanco ma io certo che ho capito perché è stanco – si rifiuta di mangiare la sua razione di avena, il cassone è sempre pieno. E io penso con grande tristezza che forse è arrivata la sua ora e lui non può vedere la mia espressione ma capisce tutto. Quando lo liscio con le mani la sua dura scorza di vecchio cavallo di miniera rabbrividisce. Solo un grande scrittore sarebbe in grado di tradurre quel sentimento. Io, che sono un materialista terra terra, so solo leggere in quello sguardo spento una cosa misteriosa che i poeti chiamano spleen (malinconia?). E siccome lo spleen si trasmette per via telepatica tra due esseri che viaggiano nella vita sulla stessa frequenza, scopro io, nel suo sguardo, di soffrire maledettamente per una accentuata sindrome da spleen. Non so esattamente cosa sia, in termini clinici, ma so con precisione che io e quel cavallo cieco viviamo lo stesso dramma: qualcuno ci ha oscurato l’esistenza, lui che è quasi alla fine e anche per me che pure sono, si può dire, agli inizi. Un altro fatto. E il fatto è che il povero cavallo cieco, nonostante le mie attenzioni, non ce la fa proprio più, ormai non riesce a tirare neanche un misero carrello. E sbaglia anche il numero delle traversine, una cosa che sapeva a memoria. A questo punto la direzione decide di modernizzare il sistema di trasporto; sostituirà il vecchio cavallo cieco con uno più giovane, un pony che ancora non sa cosa lo aspetta.
Ma di sopra mi attende la cosa più sconcia che un uomo ha la disgrazia di vedere, io che ero così felice all’idea di trascorrere stupende giornate felici in compagnia del vecchio cavallo, ho dovuto assistere ad uno dei più crudeli, efferati assassinii. Appena il cavallo esce allo scoperto, il macellaio del paese, un fottuto figlio di puttana, un giovanotto pallido e rosso di capelli, dalla faccia tutta sbilenca che fa pensare che l’hanno tirato fuori dall’utero un pezzo alla volta, il maledetto macellaio, ho detto, di questo maledetto paese del cazzo, tira fuori dalla tasca una grossa pistola a tamburo e spara il mortale colpo in testa al cavallo, che stramazza al suolo senza un lamento. Cristo, non si può morire senza un lamento, qualche maledizione la devi pur urlare a questo mondo di merda! Mi pare ancora di sentire il sordo tonfo degli zoccoli che sbattono sulla lamiera. Sono furibondo, ho la fugace impressione che quegli occhi per un attimo, un miracoloso attimo ci vedono. D’istinto mi chino per chiudergli le palpebre e per chiedergli perdono, così come si fa per ogni creatura, perché è così che è giusto fare, ma dietro di me, alle mie spalle odo le risate di scherno, ciniche e sferzanti del giovane macellaio. È vero, la stupidità non ha proprio confini, a volte arriva anche sotto i trent’anni. È un attimo; da terra prendo un grosso tubo di ferro e, fuori di me dalla rabbia, mi scateno contro quel criminale, lo tempesto di colpi micidiali, voglio fracassare quella vita insipida, ma sul più bello qualcuno me lo toglie dalle mani, e un tizio mi urla che l’ho quasi ammazzato. È vero, mi succede a volte di non finire un lavoro. Licenziato, pensa te che novità, e me ne devo andare alla svelta mi dicono, perché sennò se resto dovrò pagare i danni. Ma quali danni cretini! Io devo chiederli a voi. Certo! I danni morali!
Il viaggio
Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1948Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Annibale Mattavelli
Il degrado di Marchienne-au-Pont
Orbene, chi ha visto o vissuto, negli anni del dopoguerra, a Marchienne au Pont, una cittadina...
Sottoterra
Comincio il lavoro con il primo turno, dalle 6 alle 14, ma subito ho l'impressione che...
Da una miniera all’altra
L'estate è arrivata e qui succede qualcosa. È il quarantotto e dall'Italia ci arriva notizia del...