Il distacco della nave

Oggi non ricordo come trascorsi i tre mesi fino alla partenza. Ciò che invece è vivo nella memoria è il momento del distacco della nave dal porto di Genova. Fu una cosa profondamente triste, una cosa solenne. La famiglia al completo mi aveva accompagnato con un pullman riservato e il giorno prima, a Varazze, c’era stata la grande cena con gli antichi amici e, successivamente, nella cappella stipata del mio vecchio oratorio, l’addio. Anche a Borgo avevo avuto, pochi giorni prima, l’ultimo incontro con i pre-ju, con don Torracchi – naturalmente – e tanti altri amici che eran venuti a salutarmi. Ci eravamo riuniti in quell’inizio di autunno in una stretta sala dell’oratorio per la consegna dei “ricordi” (un album con le foto di tutti) e per la torta del saluto su cui era scritto, “Arrivederci!”. La partenza della nave, la m/v Asia della Compagnia di navigazione Lloyd Triestino, fu un’interminabile agonia. Eran saliti a bordo i parenti a veder la mia cabina e come mi sarei sistemato, ne eran discesi presto, al primo suono della sirena. Per quanto tempo ci guardammo poi negli occhi in quei lunghi interminabili momenti mentre stelle filanti e mortaretti salutavano i partenti. Per quanto tempo rimanemmo immobili, loro laggiù sul molo e io sul ponte della nave con un groppo alla gola mentre la terra si allontanava sempre più. Fu un lunghissimo viaggio: ventisei giorni di navigazione. Sulla nave c’era praticamente di tutto: piscina, sala da pranzo, cinema, sala di lettura, infermeria, sala da ballo e le cabine delle varie classi. Condividevo con altri una cabina tripla di terza classe a prua. C’erano viaggiatori d’ogni paese, d’ogni lingua e d’ogni religione; alcuni erano in viaggio di lavoro, altri in crociera, altri – non pochi – erano missionari. Chi andava in India e chi in Giappone, chi tornava a Karachi e chi a Hong Kong, chi nel Vietnam e chi – come me – era diretto nelle Filippine.