Mestieri
operaiaLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
LibiaData di partenza
1938Data di ritorno
1940Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)I genitori e i fratelli e sorelle maggiori della piccola Ester si mettono subito a lavorare quel po’ di terra che è stata loro destinata insieme alla casa.
Finita la sorpresa della casa, dopo aver sistemato la roba a nostro piacimento, c’era da rimboccarci le maniche e cominciare a lavorare. D’altra parte, eravamo andati là per questo scopo e non ci sapeva fatica, era un mestiere che mio padre aveva sempre fatto, veniva da una famiglia numerosa di contadini. La prima cosa che hanno fatto, mi esprimo così perché io ero troppo piccola per poterli aiutare, hanno arato la terra per poter seminare. Non c’era bisogno di concime perché era terra vergine, mai stata lavorata, gli arabi se ne sono sempre serviti per pascolarvi le loro pecore, capre, mucche, cavalli e anche cammelli che era il loro mezzo di trasporto. Così gli animali hanno contribuito a renderla più fertile.
Gli arabi, così vengono chiamati gli abitanti di quei paesi, seminano solo un po’ di orzo per fare il loro pane, ma è gente che mangia poco perché lavora anche poco e non hanno bisogno di tanta energia. Quello che fanno di buono è il tè e ne bevono moltissimo, abbiamo avuto modo di sentirlo, noi non riusciamo a farlo così saporito. Lo passano da una brocca all’altra e diventa persino attaccaticcio, non è neanche da confrontare con quello che facciamo noi. […] davanti a casa, come avevo già detto, c’era il viottolo e lì hanno messo due file di piantine di pesco e tanti gerani profumati che ogni cuavolta si muoveva l’aria si spandeva tutt’attorno il loro profumo. È stato fatto anche l’orto con tante verdure e in più fragole, [patate] americane, fava, tutto quello che si metteva cresceva tutto in fretta come funghi. Davanti a casa nostra vi era una fontanina con acqua molto buona, zampillava tanto forte da creare tanta schiuma nel secchio, molte volte venivano anche gli aravi a prenderne, la mettevano dentro ad una pelle di capra o di pecora e la caricavano sul somarello. Era proibito lasciare prendere l’acqua agli arabi, ma mio padre non riusciva a dirle di nò.
A mio padre piaceva molto abitare là, perché quando aveva tempo andava a caccia e non veniva mai a casa a mani vuote, c’era una grossa quantità di pernici e la carne non mancava mai, a differenza di prima che non c’era mai. A lui piaceva molto la boscaglia e in quei posti aveva trovato pane per i suoi denti, faceva tanta strada a piedi che non se ne accorgeva d’andare così distante da casa. Alle volte arrivava sino al mare che distava circa trenta chilometri da noi. Certe volte s’imbatteva in qualche tenda abitata da arabi e lo chiamavano dentro per offrirgli il tè e fare due chiacchiere, le dicevano che era ricco perché aveva quattro figlie da vendere (perché queste sono le loro abitudini) e mio padre invece diceva loro che le nostre usanze sono al contrario, cioè è il genitore che deve provvedere alla dote. Gli arabi si comportavano bene nei nostri confronti, alcuni facevano lavori sotto al governo Italiano.
Il viaggio
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