Il monsone

Stava arrivando il primo monsone della stagione che, dalle descrizioni fatteci, non doveva essere una cosa delle più divertenti!

Un sole rosso sullo sfondo grigio dell’orizzonte accompagnò le prime folate di vento che con il passare del tempo si facevano sempre più violente e sollevavano turbini di sabbia ardente che frustava il volto e braccia e gambe scoperte.

I lavori all’aperto furono sospesi, le nostre tende rinforzate, e tutta l’attività del campo fu come paralizzata: grandi cumuli di sabbia si formarono alla base dei fabbricati già costruiti -fra i quali i locali del nostro ufficio- ed in poco tempo arrivarono ad ostruire i vetri delle basse finestre. Anche la visibilità nel campo era ridotta ai minimi termini e fischi e ululati accompagnarono la tempesta per tutto il giorno e la notte successiva.

I turbini violenti della sabbia facevano penetrare questa in tutti gli interstizi di porte e finestre, con gran disperazione degli addetti alle mense i quali dovevano lottare affinché non invadesse anche i cibi che stavano cucinando.

Lotta impari poiché il risultato fu che quasi nessuno di noi assaggiò la pasta piena di sabbia oltre ogni dire: vennero distribuite scatolette di provenienza militare, con cibi già precotti e così ci arrangiammo per il pranzo e la cena.

Non descrivo lo stato delle nostre cose custodite nelle tende:… sabbia, sabbia dappertutto, sul letto, dentro l’armadietto, nelle scarpe ed in tutte quelle cose malauguratamente non rinchiuse ermeticamente in qualche ripostiglio; ma per quelli di noi che provenivano dalla Tripolitania, fra cui anch’io, non fu un trauma poiché in simile stato di cose ci eravamo già trovati durante le tempeste del ghibli, il vento del deserto che soffia in Libia.