Il piano di fuga

Alle prime luci di un mattino di settembre del 1941 una barca da pesca sì muoveva lentamente nel porto di Massaua verso l’uscita. Sul ponte facevano bella mostra alcune reti e delle nasse. Quando la barca passò vicino al faro all’estremità del molo i tre uomini dell’equipaggio fecero un cenno, di saluto alla sentinella che guardò indifferente senza rispondere.

A quel munto era fatta; perché quella barca con un motore asmatico e una rudimentale attrezzatura velica non andava a pescare ma si accingeva ad attraversare il Mar Rosso con un pesante carico. Nascosti sotto il ponte, parte rannicchiati nella vasca di cemento che a suo tempo, aveva servito da ghiacciaia, e parte nel vano motore coperti da un telo ci stavano, Dio solo sa come, ben altri dieci uomini che tentavano di raggiungere la costa araba, risalirla fino a Gedda e imbarcarsi su qualche aereo per l’Italia.

Formavano uno dei primi gruppi che tentavano quell’avventura. In Eritrea erano molti i militari evasi dalla prigionia; vivevano clandestinamente sempre in pericolo di incappare in qualche retata e di finire in campo di concentramento in Sudan o in India. Tante soluzioni per uscire onorevolmente da quella situazione non ce n’erano: o raggiungere Gondar che ancora resisteva o l’Arabia. Correva voce ce da Gedda vi fossero saltuari collegamenti con l’Italia; io stesso avevo visto partire tempo prima da Dessi un nostro aereo da trasporto con molti colleghi diretti in Italia. Si stabilirono subito dei contatti ed il pensiero comune fu di tentare quella via. Non so come i miei colleghi di Asmara riuscirono a superare tutte le difficolta per realizzare l’impresa: acquistare la barca, rifornirla di viveri, acqua; carburante e trasferirsi in auto a Massaua senza venire fermati ai posti di blocco e imbarcarsi la notte stabilita in un angolo nascosto del porto.