Paesi di emigrazione
Bosnia-ErzegovinaData di partenza
1984Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Non solo Medjugorje: nel viaggio che effettua nel 1984 al santuario mariano, Brusorio ha l’occasione di visitare anche la vicina città di Mostar, nell’Erzegovina. Transita con i compagni di viaggio sul bellissimo ponte di Mostar, che verrà bombardato e parzialmente distrutto nel corso della guerra in Bosnia, nel 1993.
A piedi, ora percorriamo il centro di Mostar. Il simbolo della città, uno stretto ponte fortemente arcuato che salta un torrente, è affollato di turisti. L’atmosfera è gaia e serena e il mio gruppo si disperde, si rincorre, si ritrova. Il sole è alto e caldo in un cielo pulito, i minareti sparsi ovunque, sembrano a portata di mano. Ogni angolo è oggetto di cura per foto suggestive, in questa strada d’acciottolato serpeggiante tra le piccole e stereotipate botteghe. E’ un mini bazar dove c’è tutto e niente. Ci guida padre Ivan. In realtà ognuno si guida da sè distratto da tutto. Qualcuno va ad acquistare qualcosina e man mano le foto si scattano con più disinvoltura. E’ bello, in fondo, arrendersi a questa realtà, entrare in abitudini forse millenarie, gustare l’antica tradizione, l’originalità delle cose e della gente. Non si tradisce nulla. O non venirci e restare sempre tra le case di Medjugorje, o respirare queste boccate del consueto, per dare pausa a quel Divino per cui siamo venuti.
La Moschea ci offre l’abulia di una religione che vive perché la fissità della tradizione, il gusto della sacralità e il senso del Divino, rimangono insiti in ogni popolo. Non ha potuto Dio volere l’uomo senza dimenticargli una goccia, di Sè. C’è una essenzialità dentro ad ogni moschea che è simbolo di quanto sia ridotto il messaggio divino. La fedeltà dell’incontro perdura nella preghiera di mezzogiorno, nell’andare a piedi scalzi su tappeti eterni e restare prostrati verso la Mecca, in un antico gesto di sottomissione a un Dio che ispira fascino e paura. Qui, nella più grande moschea di Mostar, vedo uomini che nell’approssimarsi del mezzogiorno, lavano per cinque volte i piedi, le mani, la faccia, il collo e le orecchie. Penso al freddo dell’acqua che sgorga da tante fontanelle, penso all’inverno che dovrebbe ridurre notevolmente questa pratica. Guardo quegli uomini agire con premura, come fosse un lavoro che sanno di fare al di fuori della loro vita normale e a cui restano forse legati dall’abitudine, fin dalla gioventù. Lo vedo come un gesto utile, li purifica, li rende degni di entrare nel luogo sacro; è come se cercassero il riscatto e il perdono da ogni male. Manca la redenzione, la presenza del sacrificio divino, il senso dell’incarnazione.
Il viaggio
Paesi di emigrazione
Bosnia-ErzegovinaData di partenza
1984Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gli altri racconti di Lucio Italo Brusorio
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