Mestieri
studenteLivello di scolarizzazione
frequenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1937Data di ritorno
1942Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Francesca è ormai partita, il treno sul quale viaggia insieme alla madre e alla sorella le conduce da Massa Carrara a Livorno, dove le aspetta una nave che le porterà fino a Addis Abeba, in Etiopia. Ad attenderle c’è il padre, già emigrato nella colonia italiana.
Il treno ci porta via; avevo sempre desiderato salire su un treno e fare un viaggio, ma ora provo quasi paura e vorrei non esserci salita. Nessuno parla, tutti e quattro guardiamo fuori dal finestrino gli alberi che, come fantasmi nella luce opaca dell’alba, corrono via, dietro di noi… il treno corre nella direzione opposta e tutto rimane dietro di noi: i miei cugini, i miei zii, i miei nonni, la nonna, come se il tempo se li portasse via, sempre più lontano. Che pena sento nel cuore se penso alla nonna! La vedo ancora stringerci al petto, e nella memoria mi appare più vecchia e vorrei tornare indietro con gli alberi; mi viene da piangere e faccio molta fatica a trattenere le lacrime. Nel grigio vagone ci sono altre persone: qualcuno sonnecchia, altri leggono distrattamente un giornale, altri hanno lo sguardo perduto chissà dove! Io vorrei che ci parlassero, che ci chiedessero dove andiamo, perché, da chi, invece ognuno pensa ai fatti suoi, oppure qualcuno vorrebbe, come me, che gli altri parlassero.
La nave sarà piena di gente, penso, lì troverò molti amici; mi hanno detto che è come una città con tanto di ristorante, bar, piscine e c’è anche il cinema… provo ad immaginare come sarà bella la vita in mezzo al mare su quella nave immensa e piena di divertimenti, così dimentico anche il mio dolore… ma il treno si è fermato: siamo arrivati a Livorno, ormai è giorno pieno.
Che confusione! La mano della mamma tiene la mia così stretta che quasi mi fa male e mi trascina come se fossi una cosa; provo una sensazione di fastidio per essere trascinata così, tanto più che la certezza ora di una partenza senza ritorno mi angoscia e vorrei essere consolata, ma nessuno mi chiede che cosa sento, che cosa penso, anzi nessuno mi considera proprio! finalmente la voce dello zio: «Ecco la nave!». È immensa la nave, è veramente bellissima, è proprio come una città nel mare!
Sale con noi anche lo zio. Alcuni uomini in divisa bianca ci sorridono gentili: «Benvenuti a bordo del “Francesco Crispi”»! Il tono della loro voce è cordiale ed a me si allarga il cuore e quasi non mi accorgo che lo zio mi sta abbracciando; lo zio non mi aveva mai abbracciata
sino ad ora, non abbracciava mai nessuno lui! ora invece ci tiene tutte e tre strette a sé e piange anche lui sempre severo, serio anche quando scherzava e mi diceva: «Tinin Tinello, chi l’ha rotto il campanello?» ed io mi arrabbiavo proprio perché mi prendeva in giro senza neppure sorridere. ora piange. Così mi riprende quel senso fastidioso di paura e di dolore che si è impadronito di me fin da quando mi sono svegliata prima dell’alba… mi sembra sia passato così tanto tempo!
Lo zio scende dalla nave e ci abbandona qui da sole. La mamma, senza dire una parola si dà da fare a spostare i bagagli, a raggrupparli insieme, a consegnarli ad un marinaio perché li porti nella nostra cabina, poi ci prende per mano, me e mia sorella, e ci trascina al parapetto della nave: «Lo zio è là, lo vedete?» e ci indica un punto in mezzo alla folla; è là infatti, piccolo, solo… non è più lo zio che mi ha sempre messo in soggezione, ora mi fa un po’ pena e vorrei tanto tornare da lui per dirgli quanto gli voglio bene.
L’urlo della sirena è acuto stonato, mi sembra cattivo e vorrei prendere per mano la mamma e mia sorella, scendere a terra e correre dallo zio per tornare a casa. Ma la nave si muove, prima impercettibilmente poi lentamente, e la banchina si fa sempre più lontana mentre lo zio, sul quale teniamo gli occhi fissi quasi a tenerlo legato a noi con lo sguardo, è sempre là, immobile, ed io vedo soltanto lui in mezzo alla folla, piccolo e triste, sempre più piccolo, finche non lo vedo più… qualcosa mi stringe il cuore e rivedo i volti, come ombre, dei miei cugini, dei miei zii, dei miei nonni, della nonna… ora vorrei proprio piangere liberamente, perché questo nodo che mi è venuto in gola mi soffoca; la mamma mi stringe più forte la mano, almeno così mi sembra, e la voce di Miriam è rassicurante: «non piangere, andiamo dal babbo, non sei contenta?». Si, certo che sono contenta di andare dal babbo; cerco di immaginare il suo abbraccio, il suo viso, ma allora perché sento tanto dolore?
Il viaggio
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EtiopiaData di partenza
1937Data di ritorno
1942Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Francesca Pennacchi
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