Il rimpatrio

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Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
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ritornoDopo sei lunghi anni, e dopo aver attraversato i campi di prigionia inglesi distribuiti in tre continenti, Stefano Carocci può finalmente tornare in Italia. La Seconda guerra mondiale è finita ormai da un anno e anche per lui, che ha vissuto gli ultimi due anni ai lavori forzati in Australia, è giunto il momento di tornare alla normalità.
Una volta rientrati tutti i prigionieri dalle fattorie rimaneva solo l’attesa dell’arrivo delle navi che ci avrebbero riportato in Italia. In questo periodo di attesa, ai signori inglesi venne in mente di fare un campo sportivo e poiché il terreno era molto scosceso, approfittarono di tutti noi per farci trasportare delle pietre in spalla in modo da fare un muro dalla parte pendente e poi livellare il terreno con la terra. Si doveva percorrere, per tutto l’arco della giornata, circa un chilometro ad andare e un chilometro al ritorno, portando ogni volta una pietra sulle spalle; con un intervallo di un’ora per il pranzo. Il fatto é che in quel periodo faceva anche caldo. Io e Rocco, il mio compaesano, andavamo sempre insieme, lui avrebbe fatto molti viaggi ma, guidato da me, andavamo giù la mattina e tornavamo all’ora di pranzo, facevamo un unico viaggio portando soltanto una pietra per ciascuno. Il pomeriggio si ripeteva la stessa cosa, portavamo sempre una pietra, portavamo quattro pietre al giorno, erano più che sufficienti per la paga che ci davano gli inglesi. Forse saremo stati in parecchi a fare così, comunque ognuno si arrangiava come poteva, il fatto é che di pietre ne arrivavano pochissime. C’erano anche le sentinelle che ci controllavano e quindi bisognava essere molto abili a non farsi vedere. Una mattina, dopo la conta come sempre, gli inglesi fecero richiesta di dieci volontari per andare fuori, in un campo, per sistemare degli automezzi che tonavano indietro dalla guerra, alzai anche io la mano per andare. Era la prima volta in sei anni che aderivo ad una richiesta degli inglesi, per giunta volontario. Questo era per due motivi, uno per non trasportare pietre, secondo eravamo tre amici che non volevamo essere rimpatriati in Italia, se ci riusciva volevamo scappare. Era una cosa inverosimile, che dopo sei anni di prigionia rifiutavamo di essere rimpatriati, eppure andò così. Andammo a lavorare solo per cercare di scappare, ma non ci riuscì, dopo dieci giorni di lavoro, che non fu molto pesante, ci riportarono al campo. Il motivo per cui non volevamo ritornare in Italia era molto semplice, si pensava che una volta in Italia non ci sarebbe stato lavoro abbastanza, mentre rimanendo in Australia, a quell’epoca nel 1946 c’erano soltanto sette milioni di abitanti con una grandezza ventisei volte l’Italia, con molto benessere già allora, sarebbe stato più facile per noi trovare lavoro e farsi una buona posizione. Dopo questa esperienza ci rendemmo conto che era una cosa impossibile, ci avevamo solo provato ma non ci era riuscito, si vede che non eravamo destinati a rimanere. Quando ritornai al campo dopo circa dieci giorni vide che il muro era già finito, domandai agli amici il motivo di tanta sveltezza, risposero che gli inglesi avevano cambiato tattica, ed aggiunsero che qualche ufficiale italiano forse gli aveva suggerito come fare per portare le pietre, altrimenti l’avrebbero adottato fin dall’inizio. Misero tutti i prigionieri in fila indiana da giù a su, e cosi facendo arrivavano le pietre tramite il passa mano, fu molto intelligente questo metodo. Appena ritornai al campo venni subito a sapere che Rocco era finito in prigione, gli diedero ventotto giorni di rigore per una cosa banale, la catena di passamano si era fermata, e lui, avendo in braccio una pietra pesante, l’aveva posata a terra non vedendo che dietro di lui c’era una guardia che subito lo prese e lo portò dal Capitano che gli confermò la detenzione di ventotto giorni, ed era la minima punizione. Fu liberato dopo due, tre giorni per mezzo del fratello che andò dal capitano e descrisse come era avvenuto il fatto. La preoccupazione per lui era che già da qualche giorno si parlava di un’immediato rimpatrio e difatti dopo pochi giorni, all’ora di pranzo, mentre andavamo a mangiare, sentimmo l’altoparlante che diceva di andare nel piazzale perché c’era il primo elenco per il rimpatrio dei prigionieri, ci precipitammo come fulmini. Rimanemmo più di un ora in attesa che ci chiamassero, ma finì l’elenco e i nostri nomi non c’erano. Al mio amico Romeo venne un brutto pensiero in testa, voleva uccidersi non sopportava aspettare ancora, mi disse: “Giuvà io voglio morì, mazzamoce insieme, e mi appunta il coltello in petto dicendomi: “abbracciame Giuvà” Il fatto era che la punta del coltello era rivolta verso me, naturalmente si trattava di una battuta, era un tipo molto scherzoso. Noi un po’ tristi andammo a mangiare e dicemmo: “sarà per la prossima volta”. Dopo pochi giorni arrivò il secondo elenco, ma anche questa volta i nostri nomi non c’erano, con molta ansia si aspettò un altro elenco, sempre dopo pochi giorni arrivò il terzo e questa volta chiamarono anche a noi. La maggior parte eravamo parecchi amici, i più accostati, di Roma e provincia. Nel frattempo quelli chiamati per primi stavano ancora nel campo, in attesa che arrivava la nave. Si venne a sapere che per ogni gruppo veniva assegnata una nave, finché la quella nave non arrivava in porto bisognava aspettare. Ai primi chiamati capitò che la loro nave in quei giorni andò in quarantena, pertanto dovettero aspettare l’assegnazione di un’altra nave. Dopo pochi giorni, a noi del terzo gruppo, ci portarono al porto di Perth e ci imbarcammo su una grande nave. Eravamo parecchi forse duemila iniziò finalmente il tanto desiderato cammino per il ritorno in patria dopo cinque anni e sette mesi.
Partimmo verso l’ultima settimana di settembre e arrivammo a Napoli il 24 ottobre 1946, dopo circa trenta giorni di navigazione. Ricordo che il viaggio non fu male, si dormiva nelle cuccette, il mangiare non era neanche male. Io che non soffrivo il mal di mare ricordo bene che stavo sempre in coperta con gli amici, a giocare a dama o a carte, spesso passeggiavamo lungo la nave, il nostro morale finalmente era alto, oramai tornavamo in Italia, finiva la lunga prigionia. Per tutte le sofferenze, disagi e privazioni, dopo una lunga prigionia, quasi sei anni, potevamo ritenerci molto fortunati di trovarci su quella nave che ci riportava in patria dai nostri cari. Per migliaia di nostri compagni che sono morti in guerra, o per insolazione in India o per molti altri casi, va un mio pensiero di cordoglio per tutti loro.
Il viaggio

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