Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
licenza elementarePeriodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Alla vigilia dell’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, Stefano Carocci viene arruolato e spedito in Libia per combattere sul fronte africano. La destinazione è Bengasi. A salutarlo a Roma, prima della partenza, c’è tutta la famiglia. Il commiato dal fratello, che non rivedrà per molti anni, lo commuove in modo particolare.
Rimase tutto il giorno lì come gli altri, ci vedevamo soltanto da lontano quando partirono i camion per andare alla stazione Ostiense ci salutammo velocemente agitando il braccio. Pensai che l’avrei rivisto dopo chissà quanto tempo, invece arrivati alla sta-zione, non so come, era già lì ad aspettarmi, ed una volta che noi prendemmo posto negli scompartimenti, poterono salire anche i familiari che rimasero vicino a noi fino a che il treno non incominciò a muoversi. Questo gesto di affetto di mio fratello non me lo scorderò mai. Con tutti i miei fratelli e con la mia famiglia ci siamo rivisti dopo circa sette anni e precisamente il 18 ottobre 1946. Il treno prese la sua corsa per Napoli, forse avremmo dovuto essere un pò tristi, avviliti, invece fu il contrario, ci mettemmo a cantare fino a che non arrivammo quasi a Napoli.
Poco prima di arrivare a Napoli sentimmo un pò di stanchezza, finirono ì canti ed arrivò il bisogno di dormire. Questo era certamente provocato dallo stress accumulato negli ultimi giorni, dovuto alla preparazione per la partenza e all’eccitazione dei canti durante il viaggio in treno. Il tempo per un pisolino però non c’era più, stavamo per arrivare alla stazione di Napoli. Dovevamo traslocare dal treno per imbarcarci sulla nave che ci avrebbe portato in Libia. Non ricordo come avvenne, se il treno ci portò fino al porto o se prendemmo il camion, sta’ di fatto che ci imbarcarono su di una nave molta grande che si chiamava la “Nettunia”. Eravamo parecchi militari, arrivarono da tutte le regioni d’Italia, la nave era molto carica, probabilmente al completo. Tra quelli venuti da Roma c’erano parecchi napoletani che, arrivati a Napoli, avrebbero desiderato tantissimo salutare i loro cari quando ancora stavamo a terra, ma non fu possibile. Si videro soltanto e si salutarono proprio come noi agitando le braccia, poi saliti a bordo si misero tutti sul ponte per poter parlare coi loro familiari augurandosi di rivedersi presto dicendosi parole di sollievo e di coraggio. Quando incominciarono a togliere le passerelle e tirare su le ancore, tutti i parenti dei napoletani cominciarono a gridare a voce alta parole di buon viaggio e un forte augurio di buon ritorno al più presto per tutti. Mentre la nave incominciava a moversi staccandosi dal porto le grida aumentavano sempre più, fu un momento molto emozionante per tutti noi che rimanemmo ancora a vedere il porto imbambolati dall’eco delle grida di tutta la gente, assistemmo ad uno scenario di disperazione, di madri disperate nel vedere i loro figli partire per la guerra. La nave si stava allontanando pian piano finché non si vide più niente. Quando eravamo ancora sul treno i nostri amici napoletani ci dissero che, quando la nave avrebbe preso il largo, avremmo sofferto sicuramente il mal di mare, noi rispondemmo: “e perché voi no?”, rispose-ro che loro erano abituati ad andare per mare, dicemmo “allora che facciamo scendiamo,?” si fecero una bella risata. La nave aveva preso già la sua velocità massima e molti di noi si sentirono piuttosto male, tanto che dovettero andare in cuccetta, ma quello che ci meravigliò fu che i nostri amici napoletani, “abituati ad andare per mare”, non si videro più per tutto il percorso. Parecchi amici del gruppo di Roma, tra cui io, rimanemmo sul ponte anche se non stavamo molto bene. Camminammo lungo la nave curiosando, andammo al bar a prendere qualcosa, si parlava del più e del meno, ci facemmo anche varie domande, del tipo se saremmo riusciti a tornare in Italia, forse fu uno dei pochi momenti di debolezza e di riflessione. II viaggio fu breve, circa 2 giorni di navigazione, non ricordo esattamente, infine arrivammo a vedere la terra d’Africa e precisamente la città di Tripoli. Lo sbarco fu molto lungo, c’erano da fare parecchi smistamenti, registrazioni, appelli di vari reparti e quindi rimanemmo sulla nave per parecchie ore, poi arrivò il momento del nostro sbarco. Eravamo un po storditi dal viaggio, prendemmo il nostro equipaggiamento e scendemmo a terra.
Quando scendemmo facemmo ancora un piccolo pensiero, e ci chiedemmo quanto tempo sarebbe trascorso prima di ripoter prendere la nave che ci avrebbe riportato in Italia. Intanto ci fecero salire su dei camion che ci stavano aspettando già da parecchio tempo, ci portarono a circa 20 Km da Tripoli in una cittadina chiamata Taggiura. Quando arrivammo era quasi notte, fummo sistemati in un capanno molto grande, per terra vi era sparsa una grande quantità di paglia e dopo aver mangiato poche cose, ci sdraiammo sulla paglia a dormire, poiché eravamo anche abbastanza stanchi e la testa ci frullava ancora dal ronzio della nave. Ma non passarono più di 10 minuti che sentimmo un continuo movimento, molti di noi uscivano dal capanno. Non si riusciva a dormire, sentivamo degli animaletti che ci camminavano addosso al corpo tanto da non poter riposare un secondo, non riuscivamo a spiegarci che animali potevano essere, era buio e non potevamo vedere niente, ci toccò dormire fuori, al chiaro di luna. La mattina presto vedemmo che avevamo la biancheria intima completamente nera, c’erano migliaia di pulci che ci camminavano sul corpo. Già dal giorno successivo iniziarono i lavori per la sistemazione dei servizi nel campo, si installò come prima cosa l’ufficio del comandante, poi la cucina, i gabinetti, i lavatoi ecc., tutto con le tende da campo, infine le tende per dormire per noi e per gli ufficiali. Sistemammo tutto il nostro equipaggiamento militare e potemmo così dopo pochi giorni dormire (quando non si era di guardia!) e senza le pulci. Tutto il montaggio del campo avvenne in meno di una settima-na, furono giorni di gran lavoro per la sistemazione del tutto. Il nostro comandante ci comunicò dopo un giorno o due che il nostro autoreparto, di circa 50 unità, faceva parte del 23° corpo d’armata, comandato dal generale Graziani e dal suo aiutante il Generale Annibale Bergonzoli, detto “barba elettrica”, che dopo pochi giorni ci venne a trovare per fare la presentazione ufficiale. In quella occasione ci fece anche un bel discorso ed alla fine ci disse: “avete fatto mai la guerra?”, in coro rispondemmo “no!” e lui aggiunse: “la farete presto.” Passò circa una settimana dal nostro arrivo che arrivò anche l’ordine di andare a ritirare dei camion pesanti al porto di Tripoli, camion in dotazione al nostro autoreparto e che a sua volta furono consegnati ad alcuni di noi ed adibiti subito a vari servizi. Alcuni di questi camion furono allestiti come comando mobile del corpo d’armata. In pochi giorni ci furono un susseguirsi di assegnazioni di servizi, un gruppo di circa 12 soldati fu assegnato all’autofficina da campo mobile per le riparazioni degli automezzi, tra questi c’ero anch’io. Le cose venivano eseguite con una certa sveltezza, si capiva che si trattava di una solle-cita preparazione alla guerra, difatti dopo pochi giorni cioé il 10-06-1940 fu dichiarata la guerra all’Inghilterra ed alla Francia. Il corpo d’armata era già pronto per l’attacco, infatti passò poco tempo che iniziarono gli spostamenti dalla Tripolitania dove stavamo, verso la Cirenaica, cioè verso il confine con l’Egitto. Cominciò un lungo cammino verso l’obiettivo prefisso, facevamo parecchi chilometri al giorno con i camion, ci fermavamo qualche giorno quando si arrivava in qualche città o paese per i rifornimenti, poi si ripartiva. Arrivati a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, la temperatura cambiò di parecchio.
Il viaggio
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