Mestieri
architettoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
EgittoData di partenza
1990Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Clara e le sue amiche, in viaggio in Egitto nel 1990, fatto tappa nel monumentale complesso di Dendera, importante per la presenza di un tempio dell'epoca greco-romana dedicato alla dea Hathor.
C’è voluta una mezz’ora di incomprensioni con gli uomini che sostano alla bus station non si sa bene ad aspettare cosa, ma poi un omino più sveglio degli altri ci ha fatto segno di salire su un bus che nel frattempo aveva parcheggiato. Dopo una decina di minuti il driver ha messo in moto e siamo partite. Ogni volta che rallentava saliva gente con ceste e sacchi, ma mai nessuno scendeva. Il bus era pieno come un uovo, quando abbiamo visto in lontananza il monumentale ingresso del tempio: ce l’abbiamo fatta! Scendendo il bigliettaio ci ha spiegato di lasciare pure i nostri zaini a bordo, sarebbe tornato tra un’ora a riprenderci. Hanno fatto una piccola variazione di percorso, e non ci sarebbero altri mezzi per tornare indietro. Commosse, abbiamo ringraziato lui e tutti i passeggeri: qui tutto è diverso da Milano, dove ognuno bada solo ai fatti suoi (bè, qui hanno anche un sacco di tempo da perdere !). Il tempio di Dendara è sbalorditivo, la grandiosità tipica delle costruzioni religiose egiziane è qui ancora più evidente, essendo questo uno tra i complessi meglio conservati e uno dei pochi ad avere ancora il tetto. All’interno ci ha guidato un vecchino da film dell’orrore, tanto che Emma e Maria hanno preferito non salire nella torre in cui lui ci spingeva. Pipistrelli, pochissima luce, rumori strani e ogni tanto, all’improvviso, un fortissimo sbattere di ali. Volevamo uscire ma eravamo ormai nella classica situazione in cui tornare indietro è quasi peggio che continuare, così io e Sara abbiamo deciso di fare le eroine a tutti i costi e siamo salite con la nostra lugubre guida, invidiando non poco Emma e Maria. In cima la vista era bellissima, ma il vento impediva di camminare, così dopo poco ci siamo riavventurate nella solita torre per la discesa. Non ne valeva la pena, ma abbiamo fatto credere alle due fifone di essersi perse chissà che spettacolo. Siamo così tornate dove il bus ci aveva lasciato. Era già lì, con l’autista e il bigliettaio seduti tranquillamente sotto l’unico albero della zona. Ci siamo prodigate in mille sorrisi di ringraziamento, ma i due erano quasi indifferenti, come se avessero fatto semplicemente il loro dovere. Eccoci di ritorno alla bus station, sedute ai tavolini dei giocatori di domino, ma ormai è come essere a casa, tutti ci conoscono, ci offrono the e caffè turco, ci leggono i fondi delle tazzine e si ostinano a parlarci in egiziano, come se capirsi fosse una delle cose meno importanti. Ci mettiamo in posa con l’autista e il bigliettaio per la classica “foto ricordo” da spedire, e un’altra decina di “omini” prima timidamente, poi spingendo e ruzzando senza ritegno, si intromettono nella foto. A questo punto la spediremo alla bus station di Qena, non possiamo prendere l’indirizzo di tutti, e comunque l’anno prossimo porteremo la Polaroid, che ci eviterà al rientro tutto lo stress delle spedizioni Infatti abbinare le giuste facce (ma perché si assomigliano tutti ?) agli indirizzi, ovviamente scritti per metà in arabo e assolutamente indecifrabili, è un compito assai difficile , che di solito affibbiamo a Sara e che le porta via minimo un week-end di lavoro! Sta arrivando un autobus, gli uomini si scaldano, chiedono e gesticolano come dei folli e alla fine ci dicono di salire. Siamo quasi dispiaciute, ci eravamo affezionate ai nostri nuovi amici, come quasi sempre ci capita.
Il viaggio
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