Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1951Data di ritorno
1953Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)A ogni minatore – dice il vicentino Rossetti – capita di perdersi, una volta almeno, nel ventre nero della miniera.
La sete e la fame mi dissero che sul serio si erano dimenticati di me. Decisi che lì non ci avrei lasciato le piume e partii. Lasciai tutto quello che si chiamava arnese e mi incamminai verso dove avevo visto la luce del capo sparire. Camminai per un braccio di galleria lungo due o trecento metri e poi mi trovai a una biforcazione. Scelsi la più pulita. Pensai: più recente, e dopo 10 minuti finiva. Per poco non andrai a sbattere contro la parete. Mi ero perso ancora di più.
La mina è come una città: tante vie ci sono, con la differenza che non ci sono indicazioni, e buio assoluto e sono tutte uguali. In nessuna parte con mio gran dispetto non ho mai trovato via Rally, Via delle Rose o per il pozzo via dei Tulipani.
La lampada cominciava a esaurirsi. Era già rossastra la luce io ho già cominciato a perdere la ragione e forse la persi un po’ perché chiamai aiuto e gridai. Era un farsi più sete. Capii che l’eco mi ribatteva il mio “aiuto” nel muso e che era come gridare in un secchio.
Tornai alla ragione vedendo un topo: per un attimo restò nella luce della lampada , seduto con la coda che si lasciava i baffi pacifico. Il musetto era più lungo dei nostrani. Era color topo, con la pancia bianca candida.
Dove vai fratello dopo? Perché non mi porti con te? Sono solo. Solo, capisci? Aiutami, non voglio morire. Ho vent’anni. Sei il più bel topo che io abbia visto. Tu mi dai speranza e forza ma dimmi, perché anche tu sei qui? Anche tu sei dannato? A chi hai fatto male tu? Povera bestiola. Non scappava ma stortando un po’ la testa mi guardò. […]
Alzai la lampada: in basso vidi una botola di legno contornata da tela di sacco. Cauto e speranzoso la aprii. Dopo aver tirato forte la botola si aprì: c’erano staffe di ferro. Cominciai a scendere. Per precauzione avevo attaccato la lampada un piede, così almeno i marci li vedevo scesi giù per molti gradini e infine mi trova in un’altra galleria. Quando vidi le rotaie lucide capii che ero in salvo. Proseguii finché giunsi a un bivio. Mi riposai esausto. Intanto la lampada era morta. Sapevo che qualcuno doveva passare. Troppo belle erano le rotaie e così al buio potrei fantasticare a lungo e mi resi conto per la prima volta con quanta facilità la mina ti fa sognare ad occhi aperti. Non vorrei azzardarmi tanto nell’affermare che la mina è uno stupefacente. Sarà l’aria artificiale, sarà il calore tutto uguale dalla testa ai piedi, sarà quel che si vuole, io so che in mina sogna. Mai in superficie si vedono così bene i contorni dei sogni come sotto. Tutto è limpido e chiaro. Una canzone che al giorno ne sai appena qualche nota, sotto la sai tutta. Un particolare di anni prima, lo vedi nitido. Io in seguito ero arrivato al punto di risparmiare i sogni e i soggetti che non sciuparli in un inutile giornata quando dovevo rimanere degli anni: se finivo il materiale del sogno dove lo andavo a ripescare?
Il viaggio
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