Mestieri
insegnantiLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Francia, Stati Uniti d'AmericaData di partenza
1938Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Da Nizza a Parigi. Prosegue l’esilio di Carla e dei suoi familiari, ebrei in fuga dall’Italia che nel 1938 ha promulgato le leggi razziali.
Così, proprio all’inizio del gennaio 1939, lasciammo dietro di noi Nizza, la prima tappa di quello che doveva essere un lungo viaggio, e prendemmo possesso della nostra nuova dimora al n. 9 di Rue de Bassano, un’anonima via stretta e affollata al di là dei Champs Elisées. Ora ricordo quella casa soltanto vagamente, appena una stanza o due, e la sensazione soffocante di troppo mobilio e di troppe persone tra carte da parati sbiadite e soffitti bassi, ornati di stucchi, e grigi. Non soltanto ci avevano raggiunti mia madre e mia suocera dall’Italia, ma sembrava che ogni sorta di visitatori entrasse e uscisse dalla casa a tutte le ore. Per la maggior parte essi erano profughi in cerca di compagnia e di consigli. Alcuni erano clienti, perché Alex – con un’abilità uguagliata soltanto dal suo coraggio – era già immerso nel sistema legale francese e nel consigliare nello stesso tempo gli altri. Alcuni, ahimé, erano medici, perché tutti noi fummo ammalati quell’inverno, con una bella varietà di indisposizioni. In mezzo a tutto questo veniva un flusso continuo di donne delle pulizie, cameriere, cuoche, che non smettevano di suonare il campanello della nostra porta, con in mano il biglietto dell’agenzia, soltanto per andarsene rapidamente, spaventate dalle dimensioni della famiglia e dall’atmosfera febbrile. Alcune si fermavano pochi giorni, abbastanza a lungo perché noi intravedessimo i loro visi graziosi e gustassimo qualche straordinaria zuppa di patate o dei passati di porri. Poi esse sparivano, con uno sguardo di sprezzante disapprovazione negli occhi.
Mi sembrava che le mie giornate fossero quasi completamente dedicate a regolare il traffico, una responsabilità che includeva il portar fuori di casa le bambine quando qual-che persona importante era con Alex in salotto, o semplicemente il tenerle buone quando quel qualcuno era solo un amico, ma non per questo aveva meno diritto a fare senza interruzioni il racconto delle sue disgrazie. La meta delle mie passeggiate era invariabilmente l’immensa, disordinata Place de l’Etoile e il precario rifugio offerto dall’intricata disposizione delle sue aiuole di fiori tra sentieri con la ghiaia. Quella disposizione si è del tutto offuscata nella mia memoria, ma il freddo acuto del mio primo inverno a Parigi mi fa ancora rabbrividire nel ricordo. Quante volte io spinsi realmente la carrozzina (Rossella addormentata all’interno, Simona appollaiata in un seggiolino tra i manici) fino a Place de l’Etoile? Quante volte recuperai palle, corde per saltare srotolate, o lessi libri illustrati? Probabilmente soltanto poche volte. Nel ricordo essi fanno parte di una sola interminabile mattina, durante la quale io guardo continuamente l’orologio, desiderando ansiosamente l’ora del pasto, che porrà ter-mine al mio tormento. In acuto contrasto con le lunghe giornate piene di esigenze, le mie serate con Alex fuori di casa, in città, erano affascinanti, irreali. Noi incontravamo amici a cena o, più spesso, dopo cena in una delle tante “boites” che prosperavano timidamente sotto oscuri anditi, giù in seminterrati, su in viuzze sinuose. Quelle serate erano assai sconcertanti, perché in qualche modo facevano apparire tutta la “faccenda” dell’esilio come un’avventura, e per di più un’avventura sociale.
Il viaggio
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