Mestieri
cooperanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
TanzaniaData di partenza
2007Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)L’orfanotrofio, l’ospedale, i numerosi malati di Aids e le distanze enormi da coprire, in un angolo di mondo in cui la vita degli esseri umani è difficile e continuamente sotto minaccia. È questa la Tanzania che racconta Liza. Ci sono anche i numerosi incontri con persone meravigliose, missionari e abitanti del luogo, esperienze bellissime e gratificanti che Liza affronta ogni giorno con una estrema positività e gioia di vivere.
Ilunda, 8 Oktoba 2007 Jumatatu (Mercoledì)
“E mentre marciavi con l’anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore.” De André
Ogni canzone può essere interpretata a modo suo a seconda dell’occasione. L’incontro con nuove persone, viaggi nuovi e nuove visioni davanti agl’occhi, rivelano nuovi orizzonti e, a sua volta, cambiano la interpretazioni. Io sono ancora nella fase della scoperta, sono solo tre settimane che mi trovo in Africa ma ho l’impressione di essere un’intera vita lontana da quella prima.
Le lezioni di Kiswahili vanno alla grande con futuri anteriori e passati posticipati … eppure faccio parte della scuola di pensiero che con il presente si possa già dire tanto, il resto verrà da solo. Purtroppo, gl’incomprensibili prefissi e suffissi m’incrociano ancora gl’occhi, qualche volta ho l’impressione di avere un’equazione di terzo grado da risolvere!!! Gl’insegnanti sono bravi, ma non hanno mai insegnato a degli Mzungu (“Bianchi”, che tra l’altro ho controllato nel dizionario e vuole anche dire “strano”…), quindi qualche volta c’è il fossato dell’incomprensione che ci separa. Per esempio, la settimana scorsa dovevamo cambiare una frase passiva dal presente al passato…la frase era: “Mbwa anapigwa na mtoto”, che significa “il cane è picchiato dal bambino”… noi istintivamente siamo sbiancati e abbiamo voluto cambiare il soggetto in “la palla”, e il maestro non capiva il motivo, vabbè!
In compenso, i Sabati sono stati sempre molto entusiasmanti e rigeneranti. Tre sabati, tre vallate, tre ospedali, tre situazioni completamente diverse; ogni volta aggiungiamo nuovi ingredienti, ma la pentola non tarderà ad andare sul fuoco.
Il primo sabato siamo andati a Ilembula, 40 minuti di macchina dal villaggio orfani, a casa dei nostri due responsabili in Tanzania, Fausta e Don Tarcisio. Entrambi originari della val Camonica, sono due persone splendide che lavorano e abitano da 13 anni, in Tanzania, aiutando le persone del luogo e diventando il punto di riferimento per molta gente. Don Tarcisio è da 30 anni che svolge missioni umanitarie in Africa, una persona piena di grinta che non ha paura di niente e di nessuno. Fausta è una maestra in pensione che tanti anni fa decise di venire in Africa ad aiutare Don Tarcisio, e da qui non è più partita. Lei ha un cuore enorme, che adora i bambini e che ha dato se stessa per loro. Insieme hanno costruito chiese, scuole, ospedali, orfanotrofi, tra cui quello di Ilunda. Anche dal lato sociale hanno creato una vera e propria istituzione, fornendo vari servizi alle persone disagiate dalla malattia o dalla povertà: l’assistenza ai malati (pagando loro il trasporto in ospedale, medicinali o, in molti casi, trattamenti per i malati di AIDS); una rete di distribuzione di cibo e vestiti ai poveri; un sostegno scolastico, da un punto di vista economico, a centinaia di bambini poveri e/o orfani. Il lavoro non si ferma mai né in Tanzania né in Italia, dove la raccolta di fondi, per poter continuare quello che hanno iniziato, è sempre in marcia. Lavorano fin troppo, perché qui di lavoro ce n’è, non smettono mai e si meritano una grande riconoscenza.
A Ilembula abbiamo avuto il primo scontro culturale visitando l’ospedale; Paola, la nostra architetta, deve rendersi conto delle varie necessità che possono essere presenti in un ospedale africano, per quando dovrà mettersi all’opera nella sua costruzione dell’ospedale di Ikelu a 500 metri dall’orfanotrofio. È veramente difficile descrivere un ospedale tanzaniano; prima di tutto non hanno niente a che vedere con quelli europei, ma questo c’era da immaginarselo! Un ospedale qui, assomiglia un po’ a un gruppo di case, tutte al piano terra, che rappresentano i vari reparti, sale operatorie, laboratori, ecc. collegati tra di loro da lunghi corridoi, coperti, a causa della stagione delle piogge. Quando un paziente arriva all’ospedale è obbligatoriamente accompagnato da un parente e dalla famiglia intera che dovrà alloggiare all’ospedale per l’intero soggiorno, per poter preparare da mangiare al malato. Infatti, a lato dell’ospedale si trova tutta la zona per i parenti, degli spazi simili a rimesse con cucine fatte da pentole appoggiate su tre pietre dove la gente si organizza per trovare la legna, accendere il fuoco e cucinare…stile 100 anni fa! Poi abbiamo girato nei reparti, quello più grande forse è la maternità, qui ne sfornano tanti!!! Negl’altri reparti abbiamo visto di tutto, ma non mi soffermerò sui dettagli.
Il tragitto per Ilembula è molto bello e caratteristico, ci ha dato veramente la sensazione di essere in Africa, con le grandi distese semi-piatte davanti ai nostri occhi, alberi storti qua e là, e dei colori bellissimi. E abbiamo anche visto un albero a salami!!! In realtà sono solo dei frutti strani appesi su di un albero enorme, ma sembravano veramente dei salami, la prossima volta dovrò fare una foto!
Secondo sabato, ospedale di Ikonda. Se l’orfanotrofio era in fondo al mondo…ecco, Ikonda è 2 ore e mezza più lontano!!! L’ospedale appartiene ai Missionari della Consolata, quindi stile europeo, persino le tegole si sono fatti mandare dall’Italia. Ovviamente è molto moderno, ma è stato piazzato in un punto molto difficile da raggiungere, quindi non è mai pieno. In realtà la posizione dell’ospedale aveva un suo perché al momento della costruzione. Infatti quella zona della Tanzania è abitata da una tribù, le cui donne hanno dei bacini particolarmente stretti, che rendono le loro gravidanze e i loro parti molto complicati e molto spesso letali. È per questo che la costruzione dell’ospedale era quasi essenziale. Purtroppo in queste parti dell’Africa, così isolate e senza flusso di popolazioni, la comunità stagna e questo fattore purtroppo porta il livello di malati di AIDS a quasi il 50% della popolazione. Quindi negl’anni questo ospedale ha dovuto sviluppare un reparto per malati di AIDS molto capiente.
Nonostante l’ospedale d’Ikonda sia una struttura abbastanza nuova e di stile “occidentale” è stato molto interessante, ma a tratti sconvolgente, vedere e capire quale sia la concezione di ospedale (e di malattia) qui in Africa. Penso che la frase che renda meglio l’idea sia quella usata, la settimana scorsa nel corso della visita dell’ospedale di Ilembula, da Don Tarcisio: “Qui in Tanzania non si viene all’ospedale per guarire, ma per morire meglio”.
La giornata è stata completamente caratterizzata dal viaggio, forse faticoso, ma molto emozionante. Per arrivare all’ospedale tutto il tragitto è fatto da una strada di terra, una pista sconnessa, piena di buche e incredibilmente polverosa. La terra è rossa ed ogni volta che incrociamo qualcuno, la strada diventa pericolosissima sia per noi che per tutte le persone che vanno a piedi o in bicicletta, e sono tantissimi. Percorrere questa strada sembrava veramente di entrare in un altro mondo. Anche qui le case sono fatte di fango; l’elettricità…non arriva, non si sa se arriverà mai e la gente si adegua, vivendo in quel paradiso d’altri tempi. Paradiso per noi forse che cerchiamo l’avventura, l’esotico; loro probabilmente non hanno scelta e cercano di modernizzarsi. Ogni paesino ha un suo bar o ritrovo che possiede un generatore a gasolio, unica fonte di energia; l’assurdità è che la maggior parte degl’ africani possiede un telefono cellulare anche se a casa non hanno elettricità per ricaricare la batteria…quindi vanno al bar a ricaricarlo.
Il paesaggio è mozzafiato, mai vista una cosa del genere, me lo sono proprio goduto anche se mette tristezza pensare che, per qualsiasi problema, i bambini malati debbano fare questo tragitto straziante. Al ritorno abbiamo avuto la buona notizia che entrambe Tumaini, di cui vi avevo già parlato, e Diana potevano tornare a casa. Erano così felici ma allo stesso tempo fragili e deboli. Tumaini ha 14 anni ma ne dimostra 8, lei purtroppo non può prendere il trattamento Anti-Retro Virale poiché non riesce a combattere la tubercolosi. Diana invece ne ha 12, e sta un po’ meglio di Tumaini.
I bambini hanno un’altra visione della morte, la vedono regolarmente, sanno che quando un bimbo parte per l’ospedale potrebbe anche non tornare e non so come reagiremo noi se dovesse succedere una cosa del genere.
Purtroppo Tumaini è riuscita a stare a casa solo 10 giorni, oggi hanno dovuto riaccompagnarla in ospedale, e fare quella stessa strada di notte è veramente rischioso. Ho imparato, da esperienza personale, che sono sempre i migliori ad andarsene…ho visto Tumaini all’opera a casa, è dolcissima, e se le sue forze glielo permettono aiuta nelle pulizie di casa e aiuta i bambini più piccoli quando devono prendere le loro medicine. La sua forza mi commuove enormemente e speriamo che il suo nome, “Speranza”, le faccia fede. Vi terrò informati sulla sua battaglia.
Terzo sabato, sabato scorso. Siamo andati a Iringa, capoluogo di provincia, per noi era semplicemente il paese dei balocchi! Lì, non solo la strada principale è asfaltata…ma abbiamo visto dei turisti! Eravamo proprio felici. La mattina abbiamo girato per il mercato….che mercato; frutta, verdura, spezie, riso, odori, colori, tutto. I rami di banano lunghi 1 metro e mezzo con banane verdissime che venivano staccata lì sul posto, ananas a penzoloni davanti alle bancarelle, vassoi di 1 metro di diametro pieni di riso e altri frumenti, scaffali riempiti di tante spezie irriconoscibili dentro delle bustine di plastica, miriadi di gruppetti di pomodori in piccole piramidi. Sono momenti che durano sempre troppo poco! Dopodiché, ci siamo messi tutti a comprare l’artigianato del posto, borse, collane, batik, statuette, c’è di tutto. Sicuramente dovremmo ritornarci per finire la spesa. A pranzo eravamo invitati da Mario, sua moglie Miriam e i loro tre figli (7, 5 e 3 anni). Due persone incredibili: lui medico (chirurgo e ortopedico) che lavora all’ospedale statale della città dove l’Organizzazione Non Governativa “CUAMM Medici per l’Africa” ha un progetto in corso; lei artista che ha aperto un laboratorio di Batik per donne del posto. Dopo due anni di permanenza in Somalia, da circa 10 mesi si sono trasferiti qui in Tanzania. Lui si è buttato a capofitto nel suo lavoro, non sa come fare per allungare le giornate, i pazienti sono troppi e dice che è veramente difficile lavorare con un personale africano che non sa che cos’è l’igiene, la pulizia delle ferite, i gessi freschi che si possono spaccare, la gravità dei casi. Spesso non guardano nemmeno perché un paziente è malato, pensano che sia malaria e li riempiono di chinino, quando invece hanno la rabbia o un accesso sotto la gola grosso come una mela. Mario ha dovuto inventarsi un altro tipo di medicina, in cui l’improvvisazione fa parte del linguaggio giornaliero; abbiamo visitato il suo ospedale, che il più grosso della regione, e ci ha fatto vedere i suoi pazienti, molti sono persone che hanno subìto malformazioni o rotture mai curate, lui fa i giri in macchina nei bush e scovare le persone malate che si trovano ai vari dispensari. Nella maternità abbiamo assistito alla misurazione del peso di due bambini nati pochi minuti prima! Che bello, a noi future mamme ci ha riscaldato il cuore! E poi, lo sapevate che i bambini quando nascono sono bianchi e dopo diventano neri??? Eh, eh! Comunque, incontrare Mario è stato un momento di riflessione intensa che ci a messo a carne viva sul vero problema dell’Africa, il vero bisogno concreto che hanno e che noi non riusciamo a soddisfare, più in particolare in questo caso, la mancanza di dottori che dal nostro paese non si spostano. È bello vedere persone come lui che veramente vogliono dare un sostegno, e lo fanno con passione e professionalità. Altra frase che non dimenticherò tanto facilmente: “Il mio stipendio non sono i soldi ma il tempo trascorso in ospedale e i risultati che giorno per giorno si raggiungono”. Abbiamo conosciuto una ragazza di Firenze che venne qui tre anni fa per rimanere solo 3 mesi e poi non è più tornata, chissà se tornerò io…sicuramente non sareste sorpresi, vero? Scherzo, eh!
Sabato prossimo non andiamo da nessuna parte perche lunedì cominceremo l’incarico in modo effettivo e ci sono tante cose da preparare. In cambio, però, però… sabato prossimo andremo il week-end al Lago Nyassa a 7 ore di macchina da qui, sul confine con il Malawi, a farci un bagnetto….hi hi hi
Avrei ancora così tante cose da raccontarvi ma è praticamente impossibile chiedervi di leggere tutto quello che mi passa per la testa, tutte le situazioni che ci succedono, come per esempio incontrare di nuovo il vescovo e non riconoscerlo per la seconda volta di seguito, o passeggiare in una piantagione di mimose in fiore, o persino i primi amori tra noi e i bambini al villaggio (tutti abbiamo dei preferiti, in fondo…); però vi ringrazio per tutti i vostri incoraggiamenti, che mi danno una bellissima carica.
Buon lavoro a tutti, un bacione Liza
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