Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
Francia, BelgioData di partenza
1946Data di ritorno
1953Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Due mesi sono trascorsi dalla fuga di Francesco da Ardauli. In Francia la situazione è molto misera, e il giovane progetta di raggiungere lo zio in Belgio.
Passò una settimana prima che, insieme ad alcuni calabresi, mi portassero in una fabbrica del Nord della Francia, ad una decina di chilometri dalla frontiera con il Belgio. Il lavoro in quella fabbrica era particolarmente duro, la roba da mangiare ci veniva razionata, solo le patate si trovavano a mercato nero. M’accorsi che anche in Francia la miseria c’era come in Italia e forse anche peggio che da noi: gli oltre quattro anni di occupazione nazista avevano lasciato il segno in lungo e in largo e, chi come me, che sapeva cosa significava stare sotto il loro dominio, comprendeva tutto il dolore di quel popolo. Dal Nord della Francia e, precisamente, da Viviaucourt, un paesello vicino a Charleville, feci una lettera allo zio che abitava in Belgio, pregandogli di rispondermi all’indirizzo della fabbrica dove presi lavoro.
Erano passati quasi due mesi da quando lasciai la Sardegna, senza avere notizie dei miei e di come in paese giudicarono la mia e la partenza di Mundu Pirri. Immaginavo le chiacchiere, le falsità e le accuse che i signorotti avrebbero messo in circolazione per screditarmi nei confronti di chi mi aveva dato fiducia. Cercavo d’immaginare anche la sorpresa dei compagni, che sicuramente ci rimasero male per la nostra improvvisa e insolita partenza. «Chissà – mi domandavo – se avevano capito la ragione di quella scelta difficile e sofferta, ma meditata a lungo. Per tranquillizzarmi cercavo di convincermi che alla fine avrebbero capito che non potevo continuare a vivere in un ambiente rischioso e ostile, come quello che s’era creato ad Ardauli. Le provocazioni, le sfide al fine di vederci sconfitti ed umiliati, corrompendo persino due nostri consiglieri. Si, i compagni avrebbero sicuramente compreso che la situazione era diventata pericolosa come una polveriera e che sarebbe bastata una piccola scintilla per farla esplodere. Con la partenza invece, anche se in un primo momento avrebbe provocato dei disagi, ma dopo le cose si sarebbero rimesse a posto».
Passarono venti giorni prima che dal Belgio m’arrivasse la risposta dello zio Giovanni Santo Urru. Mi scrisse che anche lì le cose non andavano tanto bene: tutto era razionato, il lavoro tardava a riprendersi ed il salario non era sufficiente per vivere. Egli aveva molte conoscenze e se decidevo di andarci, non c’era da preoccuparmi. Però il difficile era arrivarci. Non avevo documenti, tranne la carta d’identità italiana ed una dichiarazione su carta intestata della ditta dove lavoravo che dichiarava com’era a loro dipendenza, ma serviva solo per presentarla alla Gendarmeria francese come documento provvisorio per circolare liberamente. Inoltre, a rendere più complicata la situazione, era la mia incapacità quasi totale a parlare il francese.
Il viaggio
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