Mestieri
consulenteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
IndiaData di partenza
1998Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Il soggiorno di Silvia e Palo in India prosegue al ritmo serrato degli incontri, molto significativi, che i due hanno con diverse persone che vivono e lavorano nel Paese. Come in occasione di queste cene con dei colleghi di Paolo durante la quale affiorano tutti i punti di convergenza e di divergenza con tra la cultura occidentale e quella indiana.
18 settembre
Li andiamo a prendere nella guest house dove sono alloggiati, a poche decine di metri dalla nostra. E’ molto bella, vagamente inglese, e con una guardia notturna sul portone. Dovevano essere solo due fratelli, ma si è aggregato anche un amico. Paolo li ha conosciuti qualche giorno prima, del tutto casualmente, li ha rivisti una sera, poi abbiamo deciso di cenare insieme.
Mi sorprende la loro incredibile galanteria: camminando per strada si pongono sempre sul mio fianco esterno, in modo da proteggermi dalle auto, e mi domandano in continuazione se mi sento bene, se sono stanca, se ho fame…. I loro nomi ci risultano inpronunciabili e, pur essendoceli fatti ripetere tre volte, non ne ricordiamo neanche uno. I due fratelli sembrano essere molto diversi, benchè si dichiarino molto amici e sembrino avere circa la stessa età: il primo, un po’ più anziano, fa il lecturer di geografia all’Università di Delhi, ha viaggiato molto, ha vissuto un anno in Australia e desidera fare di tutto per trasferircisi definitivamente. I suoi viaggi e i contatti con il mondo occidentale sembrano averlo un po’ allontanato dalla cultura indiana, o comunque questo è quello che lui tende a sottolineare nel corso della serata. Mi chiede un paio di volte quanti paesi stranieri abbiamo visitato io e Paolo; io non li ho mai contati e sono un po’ in difficoltà, lui, invece, dichiara prontissimo che ne ha visitati tredici e ne snocciola i nomi come una filastrocca. Mi pare che fra gli indiani colti e benestanti coesistano un forte bisogno di distinguersi dal resto della popolazione e un altrettanto forte orgoglio nazionalista. Sono orgogliosi del loro paese e delle loro tradizioni, affascinati dall’occidente ma insieme desiderosi di poter presentare l’India come un paese emergente, che non è assimilabile ad altri paesi del terzo mondo, e che non deve necessariamente mutuare dall’occidente il proprio modello di sviluppo.
Il più giovane è timido, si sta laureando in giurisprudenza, ha viaggiato meno dell’altro ma si è segretamente fidanzato con una ragazza italiana; la famiglia non ne sa nulla e lui si cruccia perché desidera sposarla. Contrariamente al fratello maggiore, sembra molto legato ad alcune caratteristiche della cultura indiana: in particolare è vegetariano, caratteristica comune a molte caste elevate, mentre il fratello maggiore non solo mangia carne di pollo e di pecora, ma si vanta di aver assaggiato e di apprezzare molto il manzo. Nella ricerca della “purezza” a cui ogni indiano tende, il ruolo del cibo viene considerato fondamentale. Ciò che entra fisicamente nel corpo ha una grande importanza nell’equilibrio generale della persona, della quale ritengono influenzi profondamente i desideri, le emozioni ed in definitiva il comportamento. Lo stesso Gandhi aveva per il cibo un’attenzione maniacale, e nella vecchiaia aveva ridotto la sua dieta a frutta e nocciole, considerando gli altri alimenti dannosi o comunque negativi per il suo equilibrio, la sua forza interiore e la sua pace. Ci torna in mente la madre della vicina di Drèze, che era comparsa ad un certo punto della cena a casa sua: quando le era stato offerto un dolce contenente uova, aveva spiegato che lei, da quando è vedova, non le mangia più; alcuni indiani ritengono infatti che le uova abbiano un potere afrodisiaco, che si addice poco ad uno stato di vedovanza.
La scelta vegetariana pare contenere due diversi elementi fondamentali: il primo è quello di rispetto per il creato, e di negazione di un ruolo dominante dell’uomo rispetto alle altre creature. L’ebraismo e il cristianesimo sono certamente meno democratici e rispettosi dell’induismo, visto che entrambi giustificano una posizione privilegiato dell’uomo nei confronti del creato. D’altra parte il ruolo attribuito all’uomo in queste religioni è quello di “pastore”, di amministratore di un bene non suo, e non di padrone: questo ha dato luogo al valore della “responsabilità” verso le altre creature, che ha poi influenzato tutta la morale laica occidentale. Il percorso di liberazione di un cristiano passa attraverso un “comportamento sociale”; mentre quello induista è fondamentalmente individuale, e l’aspetto sociale si limita al rispetto estremo per ogni creatura. Ci siamo domandati quanta influenza abbiano avuto queste differenze nello sviluppo delle nostre due civiltà.
Per quanto riguarda il rispetto per la vita di ogni creatura, è indicativa la domanda che il fratello minore, vegetariano, ha posto a Paolo: “Come fai a non pensare che un uomo che uccide un animale non sia un potenziale assassino anche per nei confronti degli uomini?” Una volta eliminata la centralità e il diritto di vita e di morte dell’uomo sugli altri esseri viventi, non c’è distinzione fra l’uccisione di un animale o di un altro uomo: entrambi costituiscono la soppressione violenta di una vita. Molti vegetariani sottolineano poi l’aspetto di “esercizio della volontà” legato a questa scelta. Essi ritengono che i non vegetariani siano maggiormente inclini a cedere ai bisogni materiali, ai vizi, che siano cioè dotati di minore forza di volontà. Essere vegetariani rappresenta in questo senso anche uno strumento fondamentale nel processo di distacco dai bisogni corporei e di purificazione della persona. L’uomo si fa piccolo distaccandosi dal proprio corpo e mortificando i propri bisogni.
Mentre camminiamo verso il ristorante, il fratello maggiore mi comunica con molto orgoglio che conta di sposarsi entro un anno. Gli domando se sia già fidanzato. “No, noi apparteniamo ad una casta in cui l’occupazione principale è l’agricoltura e nella quale poche persone studiano. Io vorrei una moglie che abbia studiato, che sappia l’inglese, e mio padre sta incontrando molte difficoltà a trovarla” “E non puoi cercarla anche tu?” “Scherzi? Sarebbe una tremenda mancanza di rispetto nei confronti di mio padre! In ogni caso mio padre è un uomo aperto, capisce che io abbia l’esigenza di conoscere la ragazza prima, e così mi ha promesso di farmela incontrare in modo informale, senza dire a nessuno che è la ragazza che ha scelto, in modo che se non mi piace si possa semplicemente cominciare a cercarne un’altra” “E se tu non piacessi a lei?” Ride: “No, lei non ha nessuna voce in capitolo. Sono io che la scelgo”
Sembra una persona assolutamente contraddittoria: ama l’occidente e durante la cena tiene molto a dimostrare di sapere che nel mondo occidentale gli uomini e le donne hanno gli stessi diritti e che lui lo apprezza molto; parla dei suoi amici svedesi, cui pare essere molto legato e che vorrebbe andare a trovare nel suo viaggio di nozze, eppure sembra avere scritta nel sangue la cultura indiana, e col cuore non vi sa rinunciare. Subito dopo averci parlato dei suoi viaggi e della sua intenzione di trasferirsi in Australia, osserva compiaciuto che lui costerà molto caro a suo suocero: “Come vi dicevo, nella nostra casta sono pochi gli uomini che possono vantare una laurea, e quindi sono molto preziosi: un padre che voglia sposare la figlia ad uno uomo colto, e che lavori in università per giunta, deve sborsare una bella dote…” E’ molto orgoglioso del proprio valore di mercato e ripete parecchie volte questa osservazione. La cosa incredibile, che abbiamo scoperto dopo, è che l’uso di offrire la dote, che ha tanta importanza nei matrimoni e di conseguenza sulla desiderabilità delle bambine, è stata abolita per legge da parecchio tempo.
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