Mestieri
rappresentante di commercioLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Argentina, GermaniaData di partenza
1974Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri) Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Come diapositive, si succedono rapide immagini dei ricordi d’infanzia di Pietro, a Buenos Aires.
Abitavamo alla periferia di Buenos Aires, in una una località chiamata Moron.
Il profilo di questa nuova terra erano tanto diverso da quello della mia Calabria!
La pianura si stendeva a perdita d’occhio. L’abitato era costituito per lo più da baracche di indios. Dove finiva la strada di terra battuta, la pianura riprendeva il suo assetto e si mostrava in tutta la sua ampiezza.
La Pampa! Il mare d’erba!
Cavalli! Cavalli alti, enormi. Carri di legno, con un pianale di carico ampio e lungo, montato su quattro ruote anch’esse grandi con raggi di legno, trainati da due paia di cavalli. Quando i carri erano vuoti, il conducente guidava stando in piedi, mentre con le briglie tese e salde fra le mani, faceva virare, a suo piacimento, i cavalli lanciati a gran carriera, seminando il panico tutt’intorno! A me facevano impressione i cavalli ansanti con la bava alla bocca e la schiuma bianca attorno al morso.
Sui carri trasportavano di tutto: laterizi, sacchi, balle di paglia. L’abbigliamento dei conducenti era caratteristico: portavano una larga fascia avvolta più volte attorno alla vita e un fazzoletto annodato al collo. Spesso dalla fascia spuntava il manico, leggermente ricurvo, di un coltello: la “navarra”.
Gli indios ci chiamavano “gringos”, un termine dispregiativo. Anche se i“gringos” per lo più erano gli americani del nord ma per estensione chiamavano così anche quelli che provenivano dall’Europa.
Noi abitavamo assieme con gli zii. Alla nostra destra viveva una famiglia tedesca con figli maschi e femmine, però già grandi. A me sembravano bellissimi. Alla nostra sinistra abitava una famiglia spagnola con due figlie più o meno della mia età. Le nostre erano le uniche case costruite in mattoni, le altre erano semplici baracche con il tetto di lamiera. Accanto alla strada in terra battuta correva un fosso il quale serviva a raccogliere tutto ciò che si buttava.
La zia era la sorella minore di Papà. Una donna con il viso rotondo, una figura piena, aggraziata e lo sguardo dolce. Anche nel parlare era dolce e rassicurante. Il marito, lo zio, era più basso di lei, scuro di pelle, capelli ondulati e pettinati all’indietro, baffi folti e neri sotto un naso teso, bocca stretta. Lui quando parlava era tagliente.
Avevano due figli, un maschio più grande di me di un anno e una figlia più piccola di me, anch’essa scura di pelle come lo zio. La chiamavano la “Pitissa”, era minuta, con i capelli ricci e gli occhi neri di brace. Era la coccola di casa. Mio cugino era anche il mio amico, era robusto, forte, sembrava più grande di me, io l’ammiravo molto. Ancora piccolo aiutava nel lavoro il padre. Lo zio aveva messo su una fabbrica di mattonelle. La facciata della casa era posta di traverso rispetto alla strada. Lo zio con le mattonelle che produceva aveva piastrellato il davanti. Ciò costituiva una finezza. Nella case degli indios anche il pavimento delle stanze era di terra battuta.
D’estate, quando il caldo diventava insopportabile, mio padre riempiva secchi d’acqua, tirandola su dal pozzo con la pompa a mano, e ce la buttava addosso mentre noi in mutande, accoccolati come ranocchi sul pavimento del patio, prendevamo in pieno il getto d’acqua rinfrescante. L’acqua restava sul pavimento pochi istanti, prima che evaporasse, e noi su quel velo d’acqua tentavamo di nuotare. Che magnifica piscina!
Il viaggio
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1974Periodo storico
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