Mestieri
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Algeria, Siria e IraqPeriodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)È il 1990 e Rosario Simone riesce a procurarsi una nuova opportunità per andare a lavorare nel mondo arabo: una borsa di studio gli spalanca le porte dell’Iraq.
Desideravo da tempo visitare l’Iraq e quando avevo letto che, per la prima volta dall’inizio della guerra con l’Iran, quindi più o meno dai primissimi anni ’80, era stata indetta una borsa di studio, mi ero precipitato a fare domanda. Dopo lunghi mesi di oblio fui finalmente convocato in quella bellissima villa di Monte Mario che era l’ambasciata irachena a Roma, per sostenere l’interrogatorio preliminare. Nel redigere la domanda avevo dovuto specificare in tutta fretta un progetto di ricerca da svolgere in Iraq, ma io ero già laureato. Fu così che inventai una ricerca sull’architettura irachena degli anni trenta. Ero entrato in quell’ambasciata con la certezza di andare a riempire un modulo ed uscire entro massimo mezz’ora col visto ma quel piccoletto di Sadek Al Tamimi mi aveva messo in forte difficoltà provando a convincermi a rimandare la ricerca all’autunno successivo. Ma con l’autunno io avrei dovuto cominciare il mio nuovo lavoro in Svizzera e quindi mi ero battuto da leone per non perdere quell’occasione rarissima. A tutt’oggi non ricordo più neppure una delle mie argomentazioni, ma alla fine uscii da quell’ambasciata con un visto d’ingresso per l’Iraq stampato sul mio passaporto. Mentre l’autobus scendeva da Monte Mario ed io ero sfinito per il terzo grado subìto, non credevo ancora di avercela fatta.
Una volta presi i contatti con l’ambasciata e l’Università, ci volle più o meno una settimana per sistemarci alla meglio. Per qualche giorno alloggiai a spese del governo iracheno in un albergo più che dignitoso lungo il Tigri, fra i giardini di Abi Nawas e il quartiere residenziale di Jadriya. Poi ci concessero un appartamento all’interno della Facoltà di Ingegneria dell’Università Al Mustansiriya, nel quartiere di Bab El Muaddham. Fu fatto imbiancare apposta per noi e prima di darcene le chiavi fu montato un catorcio di air cooler all’ultimo momento, che non funzionò quasi mai. A Mimmo stava decisamente stretta la “ritirata” alle undici di sera e quindi volle rimanere a sue spese nell’albergo. A me infatti era toccato spesso in seguito di svegliare i due custodi del campus, un ciccione di qualche anno più grande di me ed un vecchietto, per rientrare nell’appartamento. Qualche volta si erano pure incazzati per questo ma il più delle volte nel momento in cui rincasavo guardavano la TV fuori del gabbiotto per godersi la brezza fresca. Io gli portavo sempre un chilo d’uva che loro mangiavano con ingordigia. Prima di ritirarmi nel mio appartamento spesso guardavamo un po’ di televisione insieme e facevamo due chiacchiere. Immancabilmente verso la fine della conversazione mi facevano sempre la stessa domanda: “Ma perché il tuo amico non dorme qui?” Poi, se non era troppo tardi bevevamo un tè e poi “Tusbiu ala kheir”…mi congedavo da loro e buona notte. In quei giorni feci amicizia con dei coetanei della Svizzera italiana che lavoravano per la croce rossa internazionale, ma soprattutto legai con Luca Piazza di Bellinzona, nel Canton Ticino. Cominciai a fare i miei primi giri per i vari suq, da quello degli artigiani del rame a quello della cancelleria, nella zona del Saray. Da quello dei tappeti a quello dell’oro, poi quello dei generi alimentari fino a Suq El Ghazàl. Lì mi piaceva girovagare per ore, assistere alle lotte fra i galli, guardare i falchi e più raramente dei piccoli avvoltoi in vendita. A cento metri da Suq El Ghazàl c’era il mio barbiere preferito. Un giovane egiziano che alla fine di ogni taglio prendeva dei fili di cotone, li incrociava, li tendeva fra le sue mani e li ancorava con un gioco di nodi ai suoi incisivi. Facendo muovere quella specie di piccolo telaio fra la bocca e le sue mani mi estirpava i peli degli zigomi facendomi vedere letteralmente le stelle ma col risultato di una barba perfetta, squadrata all’iraniana.
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