Mestieri
giornalistaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
MozambicoData di partenza
1984Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Il gruppo del consiglio comunale di Reggio Emilia in visita in Mozambico, nel 1984, resta bloccato nella città di Pemba senza riuscire a fare rientro a casa.
Mi sveglio alle sette. Bagno in mare, colazione, due passi. Poi torno a letto perché non c’è altro da fare. Tutti si aggirano qui intorno in preda all’ansia perché non si sa niente a proposito di un aereo per Maputo. Io mi rimetto il costume e raggiungo gli indigeni che curiosano nelle buche lasciate scoperte dalla bassa marea, piene di pesciolini e piccoli crostacei. Ormai so che posso avvicinarmi e che non mi morderanno. L’atmosfera è giocosa e leggera. Donne e bambini pescano con le mani e riempiono pentole e cestini. I bambini piccoli fanno il bagno nelle buche, bimbette saltellano per cullare i bambini infagottati che hanno sulla schiena legati con una fascia di stoffa. Nei laghetti più profondi, donne immerse nell’acqua con bimbi sulla schiena beati col culino che tocca l’acqua colgono le chiocciole che pascolano nei pratini di alghe tutt’intorno. Un rivo scorre verso il mare drenando la spiaggia e raccogliendo affluenti che hanno scavato piccolissimi calanchi. Tre bimbi schiaffeggiano l’acqua canterellando sottovoce per il piacere. Sono neri, con occhi bianchi e tenere bocche rosse, hanno calzoni rabberciati e sfrangiati.
L’attesa si è fatta spasmodica. Squilla il telefono nella casetta vicina alla nostra. C’è un gran andirivieni del ‘protocollo’, ma non si riesce a sapere niente. Passa un aereo della compagnia petrolifera. O forse è un aereo militare? Benassi è euforico perché vede che ha 4 eliche, secondo lui vuol dire qualcosa. In ogni caso il nuovo velivolo o è venuto a prenderci o è venuto a rifornire qualche aereo rimasto a secco, in modo che possa portarci a Maputo in tempo per non perdere l’aereo che domani sera dovrebbe portarci a Parigi. Il ‘protocollo’ però dice che non è così.
Scrivo sul letto, nella mia camera alta e ariosa con due finestre protette da una zanzariera e da un vetro apribile solo dall’esterno (!) e con tende a grandi fiorami arancio. Ho fatto tre bagni, dieci bagni, due camminate lunghissime raccogliendo conchiglie rosa…Ho preso il sole, rifatto il bagno, fatto nuovamente una lunga camminata verso sud, ho raggiunto la roccia lavica, superando una zona di spiaggia coperta di lattuga di mare e fondi concentrici di conchiglie consunte. Incontro un ragazzo mezzo sangue che mi porge conchiglie senza guardarmi in faccia, dà l’impressione di voler attaccare bottone senza sapere come fare. Uno stuolo di frullini alati leggerissimi col petto bianco vola basso sull’acqua e si posa sulla battigia spazzata su e giù dall’onda. Rincorrono col becco il luccichio del sole nell’acqua che si ritira. E’ già passato da un pezzo il momento del nostro appuntamento con l’aereo…Abbiamo mangiato ancora lo stesso riso, carne pomodorini papaya e caffè. Il sindaco dice: ‘Dobbiamo essere certi di partire entro le 15.30 o la cosa diventa grave’. Passa un aereo della compagnia petrolifera, vira sul golfo e si abbassa in direzione dell’aeroporto. Il cielo è sereno, guardiamo sempre in su per vedere se arriva qualcosa: c’è solo un treno di nuvoline sul lontano orizzonte. Adesso sono tutti sotto le palme a parlare e parlare: di come sono le carceri qui, della marjuana che si coltiva e si consuma in modo generalizzato, del Governo che ogni tanto fa delle retate…Hanno catturato e tenuto in prigione per tre giorni anche uno svizzero, all’insaputa di Chipande. Si parla di cose varie, si parla tanto, fino ad avere l’impressione di non avere più informazioni da chiedere e da dare. Alle 16.30 si parla di prosciutto mortadella e salame, cioè della Patria. Soncini ha provato a telefonare all’aeroporto, pur sapendo che non è facile riuscirci. Infatti non si può, o non si riesce, o non glielo permettono, così alla fine lui va di persona a vedere. Ci rendiamo conto che stiamo perdendo la possibilità di prendere l’aereo Maputo-Parigi. C’è poco da fare, non si può andare a casa piedi. Torno fuori per un ultimo bagno. Il sole è ancora all’orizzonte ma va facendosi meno forte. Se chiudo gli occhi vedo per ossessione commessure chiuse di conchiglie ondulate, lactuca, foglie di palma. E’ arrivata sotto casa tanta acqua, nuoto un po’ contro le onde che gonfiano la marea. Arrivo fino al punto dove si è fermato un tipo biondo coi baffi, attrezzato con carabattole occidentali tipo pinne fucile ed occhiali. E’ accompagnato da una snella graziosa negretta. Lei e io ci sorridiamo. Lui resta molto serio. Quando rientro i colleghi stanno scommettendo cene, prosciutti e partenze.
Invece proprio adesso potrebbe cominciare la vera avventura tipo naufragio, visto che le nostre cose sono tutte nelle valige che hanno portato via e dobbiamo sopperire come si può. Mi siedo fuori aspettando lo spettacolo del tramonto. Il cielo diventa arancione con una striscia di nuvole sfilacciate. Appare una falce di luna orizzontale, che sembra contenere un’altra luna nera invisibile e rotonda, con due stelle luminose, perfettamente allineate. Ogni raro rumore di motore ci sembra un aereo, ma è solo un camion. ‘Dove sono le guardie?’ chiede qualcuno. ‘Perché se non ci sono più significa che ci hanno lasciato in balìa di noi stessi’. Risposta rassicurante: ‘Sono di là in cucina che mangiano riso con le mani!’ che poi qui è un’abitudine normale, ho visto che lo fa anche Chipande. Ieri sera al ricevimento una ragazza del protocollo s’era rifugiata in un fosso a mangiare riso così alla bruta, poi è arrivato un suo collega che l’ha costretta ad alzarsi per andare a ballare con un ospite, con le mani unte così com’erano, perché col riso mangiava anche del pollo.
A fine cena arriva il direttore della torre, vestito in rigatino grigio, interrompendo una barzelletta riesumata da Baldi. Pacatamente ci spiega come stanno le cose, mentre noi siamo molto tesi e irritati anche con lui. Dice che l’aereo militare che dovremmo prendere domani è atterrato ma è ancora carico. Deve scaricare a Pemba un generatore e al suo posto caricare del legname! Insieme a noi! Gli diciamo però soltanto che non crediamo agli orari della partenza, dato che in questo posto non ci sono attrezzature. Intanto sciogliamo Africaffè in acqua bollente e cerchiamo di farci aiutare dal direttore per essere ricevuti dal Generale. Suggerisco che comunque Soncini non se lo lasci scappare, che gli si aggrappi, che lo segua, che salga in macchina con lui. Non possiamo lasciarlo partire da solo, con vaghe promesse, a perdersi nella notte come ha fatto il telefonista.
E’ pomeriggio inoltrato, apparecchiano per noi sul pratino all’inglese vicino alla piscina. Come risarcimento, il sindaco di Pemba ci offre una Vodka Martini e un bel filetto, che magari è arrivato nel fagotto che abbiamo visto sull’aereo. La nostra preoccupazione maggiore, che rasenta l’ossessione, è quella di evitare che arrivino a Reggio notizie allarmanti sulla nostra sorte. Si manda un telex collettivo e si prenotano telefonate individuali.
Il viaggio
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