Mestieri
pedologoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
KazakistanData di partenza
1959Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Bruno Bertolaso, pedologo italiano, in Kazakistan nel 1959, partecipa a un progetto per la messa a cultura delle terre vergini del vasto paese sovietico.
Al kolcos “Ekaterina” (considerato una piccola azienda di allevamento, visto che si estendeva su un territorio di “soli” 10.000 ettari) arrivammo nel primo pomeriggio del giorno dopo e la prima cosa che ci colpì fu nel sentire che dagli altoparlanti, montati agli incroci del piccolo villaggio, uscivano canzoni e discorsi in tedesco, un tedesco decisamente non classico, ma sicuramente molto diverso dal russo. Il direttore del kolcos ci spiegò subito che l’amministrazione dell’azienda agricola si era dotata di una piccola stazione radio, con la quale ad ore fisse della giornata, si trasmetteva direttamente per le strade e nelle case dei colcosiani canzoni e notizie nella lingua di origine, in quella lingua, peraltro decisamente dialettale e con la quale parlavano i contadini arrivati nella steppa asiatica dal loro lontano paese, quasi duecento anni prima. Logicamente il nostro interlocutore giurava e spergiurava che tutti gli abitanti del villaggio erano russi a tutti gli effetti, motivo per il quale osservavano senza il minimo tentennamento tutte le leggi e le regole in vigore nel Paese, conservando solo un tenuissimo legame con il loro lontanissimo passato, mantenendo viva la lingua e le tradizioni dei loro antenati. Una cosa apprezzammo subito delle loro tradizioni passate: l’amore per la casa, per la cucina e per la pulizia, cose queste che nelle terre vergini del Kasakstan, nei villaggi degli abitanti locali e dei russi, arrivati sul posto per lavoro, erano assolutamente prive di ogni valore: ovunque imperava la sporcizia, un fatiscente arredamento, messo insieme alla meno peggio e le….cimici. Ho parlato prima di cucina per esaltare l’abilità ai fornelli della signora Frida, presso la quale avevamo stabilito il nostro alloggio, abilità che si estrinsecava senza che nella dieta locale apparisse, almeno durante i 10 giorni della nostra permanenza nel kolcos, la minima vivanda a base di carne bovina, pur essendo l’azienda in questione una grossa produttrice di carne. Alle spiegazioni che chiesi, mi fu fatto presente che gli obiettivi produttivi fissati dal partito per la consegna all’ammasso dei prodotti carnei bovini, erano talmente elevati, o per lo meno, non conseguenti alle capacità produttive del kolcos in questione, motivo per il quale ogni anno era necessario conferire fino all’ultimo chilogrammo di carne prodotta ed in alcuni anni era necessario macellare vitelloni (che in genere venivano tenuti al pascolo, allo stato brado, per almeno tre anni), non ancora pronti per il mercato. Il kolcos poteva permettersi e non sempre, di tenere per sé piccole quantità di frattaglie, che venivano consumate dalle famiglie locali con grande morigeratezza. Mi scontravo per la prima volta, e non sarà certamente l’ultima, con le direttive di un partito, che assolutamente assente sul campo produttivo, nella tranquillità degli uffici della capitale, emanava ordini, coniava slogan e parole d’ordine, che tutti dovevano dogmaticamente seguire, pena il deferimento alle corti di giustizia, molto attive in zona. Stanchi di carne di cavallo in scatola, di pastasciutte approssimative e di prodotti dell’orto, decidemmo di andare a caccia delle grossissime marmotte, che popolavano la steppa locale.
Il sistema di caccia adottato dai ragazzi del villaggio era assai originale, anche se cruento e crudele. Partendo dal presupposto che le marmotte sono molto curiose, due ragazzi si dividevano i compiti: uno di loro, indossando una camicia particolarmente sgargiante, si avvicinava alla tana vicino alla quale vigilava la marmotta, pronta ad infilarsi sotto terra al minimo accenno di pericolo, facendo capriole e ampi gesti con le braccia ed emettendo versacci e fischi. La marmotta fortemente incuriosita, si allontanava dalla tana, per assistere meglio allo spettacolo che le veniva offerto. L’altro ragazzo, in sella ad una bicicletta, approfittava del momento di massima distrazione del roditore e partendo da dietro dello stesso, si slanciava, pedalando il più forte possibile, verso la sua tana. La marmotta, ad un certo momento, pur tutta presa ancora dallo spettacolo, che si svolgeva davanti ai suoi occhi, si rendeva conto del pericolo e tornava precipitosamente all’indietro per andare a rifugiarsi nella tana. Il ragazzo in bicicletta, peraltro, arrivava al traguardo prima di lei e con un piede chiudeva l’apertura del foro del suo rifugio. La marmotta non trovando la via di fuga libera, rimaneva letteralmente interdetta e si immobilizzata sul posto, senza sapere cosa fare. In un attimo il ragazzo della bicicletta la afferrava per la testa e con un abile colpo del polso le tagliava la gola, usando l’affilatissimo coltello che teneva in mano. Devo dire che malgrado lo spettacolo ci avesse sì divertito, ma anche inorridito per la crudeltà dell’atto finale, gustammo con sommo piacere lo spezzatino di marmotta, che la signora Frida ci preparò quella sera, con un delizioso contorno di funghi prataioli, così abbondanti lungo le strade sterrate dell’azienda. Durante la notte Tamara si sentì male, ricordando forse lo spettacolo al quale aveva assistito, ma noi tutti, grazie forse alla molta vodka che accompagnò il pasto, ricordammo ancora per svariati giorni la deliziosa cena. Il nostro lavoro di cartografi andava avanti velocemente. Al mattino tutti i membri della spedizione venivano dislocati nei punti dell’azienda scelti accuratamente il giorno prima, sulla base di una cartografia preliminare, che evidenziava la qualità agricola dei terreni da classificare, partendo da supposizioni teoriche di laboratorio, che andavano verificate sul posto, con il fine o di convalidare le stesse oppure di darne una classificazione diversa da quella supposta teoricamente. Non mi dilungo a spiegare tutto il sistema di indagine, vista la complessità dello stesso, dirò solo che con l’aiuto di un robusto ragazzo locale, che ci scavava a mano, con l’aiuto di una taglientissima pala, delle sezioni verticali nel terreno, (in una parola delle buche), in modo che noi pedologi, potessimo verificare la conformità o meno delle cartografie preliminari. Oltre ad accurate descrizioni pedogenetiche dei terreni, si prelevavano dei campioni per i laboratori chimici di Kustanaj, in modo da avere una ulteriore conferma della giustezza delle nostre conclusioni. Spesso mentre i nostri aiutanti scavavano le buche, noi facevamo dei lunghi giri, cercando di raccogliere tutti quegli indizi, che ci permettessero di qualificare meglio l’indagine che si stava conducendo. La steppa, dal punto di vista dell’orientamento, è terribile. Non c’è un albero, un fosso, un qualsiasi riferimento. Ci si trova in una immensa e piatta distesa, che si perde a vista d’occhio da tutti e quattro i lati. Senza la bussola che ci era stata data, (assieme ad uno spaventoso – per lunghezza ed affilatura – coltello, che avrebbe dovuto servirci per difenderci da una improbabile aggressione di lupi, che erano abbastanza numerosi in zona, viste le possibilità loro offerte dalle immense mandrie che ivi pascolavano), l’orientamento risultava assai difficile ed era facile, durante il tentativo di raggiungere un punto, trovarsi nel luogo di partenza, dopo avere girovagato in tondo. I ragazzi-aiutanti dopo avere fatto il loro lavoro, ci lasciavano sul posto delle nostre indagini, mentre noi tecnici venivamo recuperati nel pomeriggio da un fuoristrada, che passava a raccoglierci in punti prefissati in precedenza.
Il viaggio
Mestieri
pedologoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
KazakistanData di partenza
1959Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Bruno Bertolaso
Pedologo in Kazakistan
Erano necessari tre giorni di treno per raggiungere la località di studio-lavoro (la città di Kustanaj,...
Cimici ovunque
Dopo 73 ore di viaggio nel vagone letto infestato dalle cimici, sbarcammo a Kustanaj, città, che...
La cena in mezzo alla steppa
Dopo quattro giorni passati a Kustanaj, col fine di mettere a punto i compiti lavorativi del...
Kolcos Rivoluzione d’Ottobre
Dopo il ritorno in sede a Kustanaj ove depositammo le campionature dei terreni raccolti nei punti...
Sovcos 1º Maggio
Tornati a Kustanaj e valutato positivamente dalla dirigenza locale, il lavoro svolto fino a quel momento,...
Ritorno a Mosca
A Kustanaj ci aspettava una lieta sorpresa, nel senso che la direzione della Organizzazione del territorio...