Mestieri
militareLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1940Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
guerraTemi
guerraRosi descrive nei minimi dettagli uno dei pochi, parziali successi delle truppe italiane nel corso della breve guerra contro la Francia, nel giugno del 1940. Tra il 22 e il 23 del mese reparti della divisione Modena conquistano per qualche ora il Mont Razet, realizzando un piccolo avanzamento in territorio francese.
I soldati sono stanchi abbruttiti e, anche spaventati. Non si è cenato, la sera prima, ci si è stancati, durante la notte in una salita impervia e faticosa, si è riposato loco e male buttati sull’erba umida, ovviamente non si è fatto colazione; ed ora, si marcia verso la linea del fuoco. Chi tace, ingrugnato, altri si danno in commenti acidi di protesta, frammezzati da imprecazioni. Molti, più la salita diviene ripida, cominciano a gettare, per alleggerirsi zaini per terra. lo, che sono in testa alla colonna (il Cap. Gerini ed il Ten. De Angelis sono rimasti più indietro) faccio un poco la spola, su e giù, per calmare, se fosse possibile, gli animi, incoraggiare ed anche rimproverare. Passo sopra il fatto degli zaini buttati, prospettando che “se più tardi, mancherà loro sia la scatoletta di carne che la coperta per ripararsi, peggio per loro…” Ma quando vedo un fante che dalle spalle si sta levando la cassetta di munizioni per il fucile mitragliatore per posarlo per terra, intervengo decisamente e gli ordino di raccattarlo. “Passi, lo zaino. Ma non puoi andare a combattere senza le munizioni. Prendi su la cassetta, immediatamente!” Mi guarda male ed allora, io porto, significativamente, la mano alla pistola che ho alla cintura. Lui si affretta ad obbedire. Giungiamo alla base della valletta che sta davanti alla linea di confine: il Passo di Cuori. Qua abbiamo ordine di sostare ed attendere. Ci buttiamo nell’erba bagnata ed attendiamo.
La tragica giornata del 22 giugno, nell’attesa di andare in linea, ci fa vivere mille morti. Passiamo la mattinata, appiattiti un poco al di sotto di Passo di Cuori, attendendo il segnale di andare avanti. Piove a diluvio ed altra acqua si aggiunge a quella che, già, abbiamo addosso. Soldati sparsi e proni tra gli sterpi ed i cespugli mentre la sarabanda delle artiglierie intesse, sul nostro capo, i fuochi di artificio dei colpi che vanno e che vengono. Dietro a noi, sono i nostri mortai del 81° che ci fanno fischiare sopra il capo i colpi diretti oltre confine; da Cima Basavina e dai fianchi di Monte Razet, i francesi ci scaraventano addosso obici e raffiche di mitraglia. Sono ore che le Camicie Nere, in unione con fanti del 42° Rgt Fanteria (sono della 6° e 7° Compagnia), combattono nella piana dli Colle Razet e sui versanti del colle stesso. E noi attendiamo la nostra ora ascoltando il tambureggiare fitto delle mitragliatrici che narra di uomini che strisciano e si lanciano avanti, di colpiti che cadono, di feriti che gemono. E stiamo quasi peggio di loro noi, qua, fermi sotto la pioggia, in attesa del nostro turno. Passano i primi feriti, provenienti dalla linea del fuoco. Sono Camicie Nere che si muovono ancora coi loro mezzi, in quanto non feriti gravi. Al collo hanno il cartellino del posto di medicazione e ci salutano, quasi allegramente. Per loro, la lotta è finita. E ci rialzano il morale con frasi di questo genere: “E’ un postaccio impossibile! Ti tirano addosso e non sai da dove!” e simili. Noi rispondiamo con frasi di augurio per loro e di… sufficiente-disinvoltura per noi. Passano i pezzi della batteria che si sposta più in alto. E’ un miracolo come i grossi muli possano mantenersi ritti su per questo sentieraccio. Si danno molto da fare lo scanzonato Capurro, genovese, ora più serio che mai e il minuscolo Dolmetta. Verso mezzo giorno ci raduniamo proprio al di qua di Passo di Cuori. Io e il Capitano Gerini troviamo rifugio in una baita di pietre e ci ripariamo un poco dai zampilli che Giove Pluvio continua ad elargirci senza parsimonia. I soldati, appiattati nei cespugli, col fucile riparato dal cappotto, sono più fradici che mai e torvi, sotto gli elmetti. La musica dell’artiglieria continua ad infuriare sopra le nostre teste.
Verso le ore 16, quando le Camicie Nere (che stanno esaurendo le munizioni) ci chiedono rinforzi, attraversiamo la valletta rotonda di Passo di Cuori e ci raduniamo sotto il roccione a destra dove si trova il posto avanzato del Comando di Reggimento, col centralino telefonico. E’ un roccione a piombo sotto il quale sono stati disposti quattro teli che riparano dallo sgocciolio. Vi sono due o tre capitani del Coniando, Tavella, Tanturri e Basile, che comanda la batteria. Oltre il Passo, nebbia fitta ma in basso tambureggia sempre la mitraglia. Chissà come è il paesaggio sotto quella. nebbia? Pianura, monte, costoni successivi? Cerco invano di farmene un’idea. So solo che laggiù si combatte. Mi auguro che vi sia molta vegetazione, tanti bei macchioni di verzura che servano di schermo alla vista…. Tra due squarci di nebbia si vede un lato del Razet e, più sotto, il famoso Iorlino. Rasile telefona alla batteria ma la nebbia copre subito tutto. Qua attendiamo ancora. Poi giunge il Ten. Col. Quaranta e, subito dopo, dietro lui, un soldato porta-ordini. E’ l’ordine di avanzare.
Sono le cinque del pomeriggio e la Compagnia si butta oltre Passo di Cuori. De Angelis e il Cap. Cerini sono in testa e si ruzzolano giù per la mulattiera che volge a sinistra. lo faccio partire i soldati ad uno ad uno, in ordine di squadra. Il nemico ci ha visto (la nebbia, perfidamente, si è rarefatta) e, dal versante di fronte, ci scatena contro l’ira delle sue artiglierie. Quando l’ultimo soldato della Compagnia è passato e, dietro di me, vedo il maresciallo Carrega coi suoi mitraglieri, cesso il mio lavoro di vigile e mi butto oltre il passo. La mulattiera viene fatta di corsa e sembra non finisca mai. Non ho fatto più di dieci metri che il ronzio dei proiettili (chi ha fatto la guerra, sa cosa significhi quel sibilo lacerante che, fendendo l’aria, si ingrossa e si avvicina sempre più, mi costringe a tuffarmi. Due o tre scoppi poderosi, vicinissimi a non più di una decina di metri, sopra di me. Poi, via, a rompicollo, incitando ed imprecando ai soldati che si raggruppano, spauriti, tutto attorno, sotto i radi cespugli. Altri sibili, altri tuffi a testa bassa nell’erba, altre esplosioni di granate; via, di corsa giù per il sentiero fangoso e sdrucciolevole, nell’erba bagnata, mentre i rami scossi dei cespugli ci riversano addosso abbondanti docce. Acqua, fango? Che importa! Ci buttiamo, col volto nel fango quando ci raggiunge l’inquietante ronzio. E, poi, finalmente, più in basso, quasi in angolo morto, ci scodelliamo uno sull’altro, nel fitto di alcuni macchioni. La testa della Compagnia è ferma, col fiato grosso. De Angelis cerca di riordinarla. Io passo in testa e vado avanti. Sentiero fangoso nel bosco. Ci ritroviamo, ad un tratto, in mezzo ad una pattuglia di Camicie Nere, anche loro, avviate verso la linea del fuoco. Un capo squadra, che la comanda, mi dice che i suoi compagni sono già sul Razet, dove, tuttora si combatte. La mitraglia crepita sempre ed il vento ci porta, fortissimo, un vociare confuso, un “A noi!” di gente lanciata all’assalto.
A mezza costa di Monte Abo, la strada di Passo di Cuori, fa un gomito, nel fosso e, poi, diviene pianeggiante, snodandosi, nel bosco, fino a Colle Razet. Subito dopo il gomito, vi è un fontanone che lancia un grosso cannello di acqua. Giungono tre Camicie Nere con un francese, prigioniero. Ed una di esse, mi avverte che “l’acqua è avvelenata”. Strabuzzo gli occhi e, poi, mi metto a ridere. Infatti ho già bevuto e, per il momento, non mi sento nulla. Rassicuro i troppo diffidenti militi che bevono e fanno bere il prigioniero. Questi, un mitragliere di fortezza, pezzo di giovanotto grande e grosso, sembra quasi istupidito ed, invece, cerco di parlargli in italiano (che non comprende); io ne so altrettanto di francese e quindi la conversazione non procede. Lascio la fontana ed avanzo nel bosco (seguito dai miei soldati), sulla strada, ormai più ampia e dal fondo buono. Prima di Colle Razet, vi è uno spiazzo scoperto con una capanna. Come vi sbuco, una mitragliatrice si mette a gracchiare da chissà dove, battendo la strada davanti a me. Fermo gli uomini ed attendo che mi raggiungano gli altri.
Sono calate le tenebre ed il bosco si popola come per incanto. E’ un via via di uomini apparsi da chissà dove, che si infiltrano nel mio reparto, parte diretti in avanti, parte di ritorno. Dapprima è una compagnia di “camicie nere” che però sosta poco lontano. Poi un plotone mortai da 45 dcl 42° Ftr, comandato da un ufficiale piccolo e dall’accento inequivocabilmente genovese. Quindi un plotone mitraglieri, pure del 42° Ftr., comandato da un aspirante lungo lungo con cui baratto parole e che saprò poi, si chiama Pedemonte. Mi metto di nuovo a fare il vigile per regolare tutto quel traffico di gente che va e che viene. E finalmente pesco De Angelis che sta arrivando non so (la dove. Con lui giunge il Capitano Gerini che ci lancia decisamente in avanti. Ripasso nello spiazzo scoperto cui ho accennato prima e ora – per fortuna – la mitragliatrice tace. Facciamo la stradetta che porta a Colle Razet. Sono di nuovo in testa. A Colle Razet vi è la 7° Compagnia del 42° Rgt. Ftr., ferma nei baraccamenti francesi. Una sentinella mi grida “Chi va là!” reiterate volte, io (“chi si ricorda la parola d’ordine?”) mi faccio riconoscere come posso a rischio di buscarmi una fucilata. Alla fine ci si intende. Nello spiazzo di Colle Razet vi sono le baracche ora occupate dai nostri soldati. Questa compagnia è decimata e di tre ufficiali, il Ten. Soldi è ferito, Lasero, mio vecchio amico, è pure tutto tartassato dalla mitraglia, il terzo Oldoini, lo troverò poi morente sul sentiero del Razet.
Il viaggio
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