Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1951Data di ritorno
1953Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Il treno è arrivato alla stazione di Liegi, destinazione di Raul Rossetti e di tanti che, come lui, sono emigrati in Belgio.
Albeggiava quando si arrivò a Liegi. Chi doveva scendere a Liège era giunto e chi per Campine proseguiva. Salutai chi restava e scesi. Non era pioggia quella che scendeva lenta, ma direi umidità o qualcosa di simile. Eravamo fermi più avanti della stazione Guglielmina. In uno spazio andammo dove ci misero a gruppi e poi uniti. Davanti a noi, cinque camion erano fermi. Dal grigio chiarore dell’alba emergevano tante voci. Avevo una tenaglia la posto del cuore. I caporioni ci maneggiavano come fntocci. Parlavano italiano perché erano ex italiani, ma non volevano parlarlo bene. Lo parlavano un po’ purgato come per dire io l’ho imparato. Come fosse facile imparare la nostra bella lingua; specie per quelle facce da stupidi che avevano. «Tu metterti qui… Tu tenere valigia vicino. Ora si aspetterà tutti qui l’arrivo dell’impiegato…. Lui decidere… Ora qui aspettare. Anche per lei laggiù. Ha capito: venga qui non voglio che lei vada distante…».
– Faccia di merda, chi sei tu per proibirmi di fare quattro passi?
– Io sono l’incaricato e riferirò che mi ha offeso, in direzione.
– La faccia da spia non ti manca e chiudi il becco se non vuoi che te lo chiuda io.
Uno s’avanzò: era tarchiato, voleva darmi una lezione. Ma quando vide la cattiveria, la disperazione e la mano in tasca cambiò idea. Funziona sempre, la mano in tasca. Arrivò un senza peli borioso che doveva essere colui che doveva decidere dove mandarci. Infatti tirò fuori il foglio dalla tasca e lesse i nomi. La faccia del merda gli parlò sull’orecchio. Il senza peli mi guardò e poi continuò: si doveva andare per mina. Ogni mina fece il suo gruppo. Chiamò il mio nome e andai là, dov’erano di meno.
La mia era Séraing, sette chilometri da Liège. Tanti andarono alla Santa Margherita, tanti alla Valbenoit, tanti a Fleron, ecc. Montai sul camion, attaccarono da dietro una bicicletta, e si partì. Intanto faceva giorno e cominciai così, attraverso il tendone, a vedere la Belgique. Le case sono tutte senza intonaco di fuori, solo mattoni anneriti dalla continua presenza di polvere nera in aria. Unica nota gaia in tanto squallore era rappresentata dalle macchine americane. La casa che ci accolse era una ex scuola ora trasformata in cantina. Al nostro arrivo ci vennero incontro tanti connazionali già lì da diversi mesi. Saltai giù e la prima cosa che mi colpì su quelle facce fu il pallore cadaverico. Tutti con lo stesso pallore. Ne chiesi la ragione e mi risposero che sotto manca l’aria buona e il sole, e quando vengono fuori vanno a letto. Ma la vera ragione è il bagno. Bagno caldissimo, dicono che ti frega le forze. E lo devi fare ogni giorno. Su quelle facce bianche s’intravedevano dei segni neri come di tatuaggi. Erano le cicatrici della mina che non vanno più via. Rimangono tutta la vita.
Il viaggio
Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
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