Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
EritreaData di partenza
1937Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Nel 1937 Publio Corbacelli è uno degli italiani che partono per l’Africa convinti di andare a migliorare le proprie condizioni di vita e quelle dei popoli colonizzati. Scrive sul suo diario: “Dovevo assolutamente far parte della valanga italiana da tempo attesa laggiù, quale apportatrice di progresso e benessere al più antico popolo della terra, rimasto arretrato di secoli di civiltà”. La sua destinazione è l’Eritrea.
Dovevo assolutamente far parte della valanga italiana da tempo attesa laggiù, quale apportatrice di progresso e benessere al più antico popolo della terra, rimasto arretrato di secoli di civiltà. Quindi a nulla valse ogni azione dissuadente della mia cara Lina, di tutti i parenti e degli amici. Ed anche la quasi totale mancanza di mezzi finanziari non riuscì a bloccarmi. Per me era ormai una certezza; in pochi mesi avrei aggiustato tutto: animi, rancori e debiti. Tutto nella elettrizzante prospettiva di vedere finalmente il mondo che io immaginavo fantastico e di poter vivere ed operere in esso per il benessere della mia cara moglie e della mia adorabile Marisina. Acquistai un camion usato con il proposito di effettuare trasporti tra le località dell’Eritrea e dell’Abissinia: si diceva che coloro che svolgevano questa attività, riuscissero a realizzare in poco tempo favolosi guadagni. Occorsero laboriosi, affannosi preparativi perché il mio automezzo, strumento fondamentale all’attività africana, fosse pronto sotto tutti gli aspetti. Finalmente in una radiosa alba dei primi di giugno del 1937, tutto fiammeggiante di fresca vernice, con l’aspetto di un autentico “bolide rosso” e con un nome altamente significativo: “Marisa”, scritto a grandi lettere in azzurro, sul frontale della cabina di guida, potevo partire da Perugia alla volta del porto di Genova. Qui assistetti al suo imbarco nelle stive del grande “Cristoforo Colombo” insieme ad altre centinaia di autocarri che intraprendevano lo stesso comune destino, ricco di grandi speranze. Una settimana più tardi, accompagnato da mio padre che in pieno accordo con la mamma, condivisero con sereno affetto e comprensione il mio intento, raggiunsi il porto di Napoli per imbarcarmi sullo stesso “Cristoforo Colombo” diretto a Massaua.
Viaggiai in seconda classe. Feci molti amici perugini insieme ai quali trascorsi quelle giornate di viaggio nella deprimente immensità del vuoto sconfinato del mare. Le serate erano generalmente allietate da giuochi di bordo che ci tenevano desti e spensierati fino verso la mezzanotte. Nella tarda mattinata del terzo giorno giungemmo a Porto Said; cittadina caratterizzata dalle sue palazzine di uno o due piani, tutte egualmente verniciate.
Al settimo giorno di navigazione, ormai veramente stanchi e stufi di quella vita sterile in quello scatolone di lamiere surriscaldate, la nave attraccò alla banchina di Massaua. Secondo i meteorologi, questa città si trova sull’equatore termico, cioè sul la fascia più calda della terra. Infatti qui l’intensità del calore solare e l’altissimo tenore di umidità, rendono la vita assai penosa alle persone non bene acclimatate da anni di soggiorno locale. Massaua é tutta costruita in casette a uno o due piani, imbiancate a calce su un piatto isolotto di poco emergente dal pelo dell’acqua, rasente la costa continentale alla quale limita da un ampio ponte. I suoi abitanti indigeni sono il prodotto di secolari incroci tra eritrei e arabi, sauditi, jemeniti e somali, popoli vicini tra loro e sempre in contatto per scambi commerciali e di lavoro. Qui, come detto, il caldo é eccessivo e insopportabile, giorno e notte, ma ovviamente sul mezzogiorno tocca la punta più alta. In estate i 45/48 gradi all’ombra sono un fatto normale. All’ora del pranzo, un incredibile concreta realtà ne dava la sensazione ancor più della sofferenza fisica: nel locale dove eravamo riuniti per il pranzo, parecchi commensali, tutti seduti su sedie di corda, si vedeva scendere sul pavimento, dal fondo di ogni sedia, un rivoletto di liquido; era il sudore di ognuno che confluiva a terra.
Il viaggio
Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
EritreaData di partenza
1937Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Publio Corbacelli
L’uomo del deposito
Mi alzai di scatto da quella sedia, come sospinto da una molla e mi diressi verso...
“Le mie care creature”
Nelle sue buone mani la macchina fece miracoli: in un anno saldai tutto il debito contratto...