Mestieri
pittoreLivello di scolarizzazione
diploma scuola media inferiorePaesi di emigrazione
Brasile, ArgentinaData di partenza
1923Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Un attentato antifascista a Buenos Aires suscita lo sdegno del pittore Mario Bacchelli, emigrato in Sud America da anni, e lo spinge a iscriversi al partito.
Erano, in verità, passati cinque anni da quando avevo emigrato: ampio tempo per sviluppare e accumulare il desiderio e la nostalgia, non ancora tanto da appannare il ricordo e la vivacità dell’affetto verso i luoghi e le persone care, e il pensiero del ritorno mi dominava sempre più imperiosamente.
Mi fu detto che, una volta tornato in Italia, mi sarebbe stato molto più agevole ottenere il rinnuovo del passaporto e il permesso di tornare all’estero qualora fossi iscritto al fascio: e poiché intendevo in ogni modo mantenermi aperta la via del ritorno presso chi mi s’era mostrato tanto amico, cominciai a pensare seriamente se non fosse il caso di non dar maggiore peso di quanto in realtà non ne avesse a quel segno di riconoscimento nazionale, non più, ormai, politico, come andavo più o meno artificiosamente persuadendomi.
Debbo anche aggiungere che quegli scarsi e sperduti fuorusciti (non certo tra i migliori e più intelligenti) che avevo conosciuto, m’avevan fatto l’effetto di gente per la quale la storia, lo sviluppo e lo svolgimento d’avvenimenti e d’idee si fossero arrestati il giorno della loro partenza dal paese natio, come quegli orologi a pendolo che un terremoto ha fermato e che continuano a segnar l’ora funesta. A mano a mano che il miglioramento della mia posizione professionale, conquistatomi con la fatica mia e col generoso appoggio dei miei nuovi amici sudamericani, mi toglieva dall’oscurità e mi portava a più frequenti contatti e rapporti coi centri culturali, rappresentativi, ufficiali italiani in quella capitale, io andavo sentendo sempre più vivo il rammarico di sentirmi sempre più legato a estranei e sempre più estraneo ai miei. Proprio in quei tempi, alcuni attentati che venivan proclamati anti-fascisti, ma che in realtà colpivano gli italiani in genere, mi diedero l’ultima spinta.
Una bomba assai potente fu collocata presso la porta del consolato italiano: se ricordo bene, lo scoppio non uccise nessuno, e i feriti furono assai meno numerosi e più leggeri di quanto si sarebbe potuto temere, poiché davanti a quella porta si riunivano in folla a quell’ora i miei connazionali per chieder visti o bolli sui passaporti e per le mille occorrenze loro. Per quanto mi consta, non si seppe mai chi avesse commesso quell’atto barbaro e imbecille. In quegli stessi giorni un’altra bomba, più piccola ma che pur poteva essere micidiale, fu nascosta da un cliente frettoloso (che nessuno seppe rintracciare) sotto il banco della farmacia d’un italiano che reggeva qualche carica nelle locali gerarchie fasciste: buon diavolo qualunque di bottegaio che in vita sua non doveva aver fatto male a nessuno: uno di quegli innocui vanitosi che nel paese natio si sarebbe fatto nominare presidente di qualche associazione di carità, di qualche fiera agricola e commerciale, o in mancanza d’altro, socio sostenitore della locale società bandistica, e che conobbi la sera stessa dell’attentato (che per un attimo non costò la vita della sua figliuola bambina, la quale un momento prima dello scoppio era andata a prendere non so che oggetto, o forse qualche spicciolo, nella cassetta del banco di bottega) quando un mio amico giornalista italiano che ero andato a trovare in redazione, mi condusse sul luogo. La moglie del farmacista, donna di bellezza prettamente nostrana dall’abbondante capigliatura corvina, si sbracciava dietro al banco, tutto spaccato e contorto dall’esplosione, ringraziando tutti i santi del cielo per aver salvato la bambina e imprecando contro quegli sciagurati assassini: la sua avvenenza latina e popolana s’avvantaggiava di quel patetico fiume di parole e dell’ampio gesticolare: espressioni sincere, se pure esuberanti, d’emozioni vive e realmente provate.
Andai al Fascio e m’iscrissi.
Il viaggio
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