Paesi di emigrazione
Sud America, , Nord America, AsiaData di partenza
1907Periodo storico
Periodo post-unitario (1876-1914)Il lungo viaggio di Sebastiano Mele fa tappa a Vladivostok, città russa punto di arrivo della ferrovia Transiberiana, porto di importanza strategica per il commercio dell’immenso impero zarista.
Vladivostock
Paese agognato questo. Si fanno mille congetture su questa città cinta dì acciaio e dì uomini per contrastarne il possesso ad ogni costo. Di tutto fino ad oggi abbiamo potuto farcene un concetto, ma di questa enorme fortezza messa su a forza di milioni nel limite più estremo del mondo a garantire un’uscita dall’enorme impero moscovita. Traversiamo il golfo di Tartaria e finalmente avvistiamo terra. E’ la Siberia, la triste e paurosa Siberia. La terra del pianto e della deportazione. Corriamo parallelamente alla costa fino ad avvistare l’isola di Askold. Ai piedi di una rupe frastagliata dal mare è una nave russa che nel disastroso fuggi fuggi andò a fracassarsi contro gli scogli per non più staccarsene. Ha due fumaioli e la prua completamente fuori acqua. Continuiamo a camminare. S’incominciano a vedere le opere avanzate. Dalla sinistra ci giunge la voce rauca e potente della sirena che ad intervalli di tre o quattro minuti Urla paurosamente come spauracchio fra la impenetrabile nebbia e si perde ondulando e colugiando nell’infinito. La nebbia si dirada spinta dal libeccio fresco lasciando dietro a sé un panorama incantevole. Imbocchiamo il Corno d’Oro. Dritta e sinistra è un’alternarsi di forti e casermoni. Sulle pianure lontane degli immensi accampamenti, come enormi campi di funghi, coprono letteralmente delle estesissime zone. Il primo saluto ce lo portano gli Ufficiali dal parco aereostatico con un pallone. L’enorme involucro oscilla lentamente e con noi, dondolando, si spinge a passo d’uomo verso la città ancora nascosta in un antro fra mille opere di difesa. Mano mano che ci inoltriamo per il tortuoso canale la vita si intensifica sempre più. Delle enormi barche zeppe di truppa trafficano ín ogni senso l’estuario. Dappertutto è una profusione di cannoni d’ogni portata. S’incominciano a scorgere i fumaioli di una nave da guerra russa e a poco alla volta Vladivostock ci si presenta in un panorama stupendo. Non è come la immaginavo, dal lato dell’importanza commerciale marittima e della grandezza. Il panorama, ripeto, è superbamente bello. Dei magnifici palazzi si proiettano sullo specchio limpido dell’acqua con dei riflessi argentei. Sulla dritta è un monumento all’Italia: “un giardino d’Italia”. Proprio così si chiama la più bella e incantevole parte di questo amenissimo golfo. Ci sentiamo attratti, il nome della Patria chiama e con un sanpam attraversiamo senza indugio la baia. Sulla porta di accesso, scritto in russo e a caratteri di scatola, è il nome del nostro paese, emblema di bellezza. A entrarvi restiamo però un po’ in forse. Con tutto che siamo forestieri, anzi ospiti e Italiani per giunta, senza scrupoli ci si impone la tassa di mezzo rublo pari a lire una e trentacinque italiane, tanto per andare in un difreto posto a teatro da noi. Non vogliamo fare la figura da pirchi e nostro malgrado paghiamo ad un Ufficiale in servizio attivo, la tassa e ci vien lasciato libero l’accesso. Disillusione completa: una confusione di alberi incolti messi su dalla natura e sotto di essi, all’ombra, seduti sull’erba o su dei rustici scanni di legno ancor più rustico, un’infinità di coppie equivoche che in Europa la decenza non avrebbe tollerato certamente.
Su in cima, quasi, al colle è una birreria messa a bella posta per scorticar chi malauguratamente vi capita. E’ attorniata da giovinette venute da lontani paesi, da tutto il mondo, in questo mercato di bruti, in questa esposizione eterna di orgie indicibili. Sono delle belle fanciulle viziate e senza scrupoli e consacrate al vizio. Immaginate: a Vladivostock vi sono circa cinquantamila ognuno di loro ha un’amante quando può andare a diporto e/quando no, tutte queste donne sono a popolare i marciapiedi, ormai convertiti in sala d’aspetto di postribolo. Né manca l’elemento italiano. Anche questa classe, come la più degna, è rappresentata in questo estremo limite del mondo, in questo luogo di appuntamento alla prostituzione. Senza scrupolo si danno in braccio a Venere con tutti e dappertutto. La città è in balia di gente bieca di libidine e di Wotka. Le strade nuove e comodissime sono trascurate e immonde. Il suolo fangoso viscido non vi permette di camminare quando sia stato menomamente bagnato dalla più leggera pioggia. Una moltitudine uniforme di carrozze basse basse, traballando per il selciato ondulato e melmoso, corre per ogni senso colle ruote cerchiate di Kauciy. Raramente s’incontra uno di questi veicoli in cui non vi sia in amplesso un Ufficiale in divisa (è proibito loro di indossare abiti civili) con una delle tantissime prostitute che la sera, dopo le 22, vi assediano e vi urtano eloquentemente per ogni dove. Una promisquità di donne pregne di lussuria. Nascoste quasi fra trine e merletti; c’è chi veste da bimba con le sottane corte e la camicia sporgente sulla clavicola e chi che, col lungo strascico, va alla caccia di microbi pii che di uomini. Il soldato qui è considerato men che in China. Al di fuori degli esercizi è comandato al trasporto per ogni dove dai suoi autocratici superiori Ufficiali. È inutile, siamo in Russia.
Il viaggio
Paesi di emigrazione
Sud America, , Nord America, AsiaData di partenza
1907Periodo storico
Periodo post-unitario (1876-1914)Gli altri racconti di Sebastiano Mele
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