Mestieri
operaio, contadinoLivello di scolarizzazione
frequenza scuola media inferiorePaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1959Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)È il primo giorno di lavoro per Alvaro Tanzini a Menziken, in Svizzera, nella fabbrica dove è arrivato in cerca di impiego nel 1959 per sfuggire a una vita misera, da contadino, in Italia.
28 novembre 1959
Primo giorno di lavoro. Giampiero mi accompagna in fabbrica e mi consegna a un uomo grasso con la tuta di fustagno. Lui ha già seguito la trafila. La fabbrica è situata all’estremità del paesino, in mezzo alla campagna. È grande e di aspetto moderno. Ho visto entrare diecine e diecine di operai, quasi tutti italiani. Alcuni li ho già conosciuti.
Ci viene incontro, lungo il corridoio, un uomo zoppo con i cappelli folti, il viso magro e lo sguardo severo. Indossa anche lui una tuta di fustagno dalle cui tasche spuntano chiavi e cacciaviti. Il vecchio parla un attimo con lui, mi sorride, si volta e torna indietro.
“Kom!” dice lo zoppo.
Mi porta vicino a un forno e mi mostra una macchina ferma.
Poi comincia a darmi dimostrazioni sul modo di usarla: alza una leva e lo stampo si apre, aggiusta i bocchettoni, accende il gas e dice alcune parole che naturalmente non capisco. Intanto, però, si sono avvicinati alcuni connazionali -un calabrese, un bergamasco, un veneto- e tutti quanti cominciano a tradurre le parole dello zoppo, a darmi istruzioni e consigli, a parlare del più o del meno.
Dopo cinque minuti lo zoppo chiude la conchiglia (ho già imparato che lo stampo si chiama in questo modo) prende il ramaiolo, si avvicina al forno, pigia un pedale azionando il meccanismo che apre lo sportello, attinge il metallo, torna indietro e lo vuota lentamente dentro la conchiglia. In attesa che il metallo si raffreddi estrae di tasca una scheda gialla e me la porge.
“C’è scritto quanti pezzi devi fare”, dice il veneto. “E il tempo del cottimo”.
“Fregatene!” dice il bergamasco. “Tanto il cottimo, quì, non si becca mai”.
“Mica vero”, dice il calabrese.
Lo zoppo apre la conchiglia e con la pinza prende il pezzo -che emana calore e lucentezza- lo solleva e lo guarda attentamente. Lo guardo anch’io e non ci vedo niente di particolare. È una specie di enorme bruco intirizzito, con molte zampe.
“Gut!” Lo zoppo scaraventa il pezzo in un carrello parcheggiato nei pressi della macchina, posa la pinza e si allontana a passo svelto, con la sua gamba ranca.
“Ha detto che va bene”, traduce il calabrese. “Puoi cominciare”.
Prendo la pinza, afferro il pezzo e lo guardo di nuovo, accuratamente. “Che roba è”, domando. “Non riesco a capirlo”.
Il bergamasco ride. “Fregatene!” dice. “Nessuno di noi capisce che cazzo di roba fa”.
“Non c’è soddisfazione a lavorare senza sapere che cazzo di roba si fa. È alienante. Non conosci Marx?”
“No, che me ne frega”. Scoppia di nuovo a ridere. “E a te che te frega, toscanaccio. Basta che ti paghino. Dai dai attacca!”
Poso il pezzo, chiudo la conchiglia, prendo il ramaiolo, vado al forno, attingo il metallo e faccio la prima colata.
Così è cominciato il mio lavoro nella fabbrica “Alluminium A.G. Menziken”.
Il viaggio
Mestieri
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