Mestieri
operaio, impiegato, ristoratoreLivello di scolarizzazione
avviamento alberghieroPaesi di emigrazione
CanadaData di partenza
1951Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)È il 1951, Armando Viselli fa il portiere in un albergo di Roma. Conosce molti turisti, alcuni canadesi alimentano il suo sogno di emigrare oltre oceano. Ma la strada verso il Canada è tortuosa, e Armando deve faticare molto per percorrerla.
Durante l’estate passato fra gli innumerevoli turisti che avevano soggiornato all’albergo Nord Nuova Roma, avevo conosciuto una coppia di canadesi che m’era stata raccomandata da Katy, un’altra cliente dell’albergo, una ragazza di Montreal, con la quale durante il suo soggiorno a Roma avevo allacciato amichevoli relazioni. Quando il Signor Tupè e la sua signora mi portarono personalmente i suoi saluti, rimasi veramente sorpreso. Naturalmente li ringraziai e come avevo già fatto con lei mi offrii di far loro da guida durante il loro soggiorno a Roma.
Nei tre giorni che seguirono, tra la delizia e gioia dei due visitatori, esplorammo buona parte di tutto quello che la Città Eterna può offrire sul campo artistico, culturale e culinario. L’ultima sera dopo cena, il Signor Tupè espresse la sua gratitudine prima con un biglietto di cinque dollari e poi parlando parlando mi promise solennemente che un giorno mi avrebbe aiutato ad emigrare in Canada.
Era il mio sogno preferito ma debbo confessare che in quel momento apprezzai più i cinque dollari canadesi che le sue parole. Non era la prima volta che uno o una straniera mi avevano parlato in quella maniera, mi avevano promesso mari e monti, ma una volta partiti, lontani dagli occhi lontani dal cuore, mi avevano dimenticato completamente, naturalmente così feci io con i coniugi Tupè, ma tra il mio sbalordimento, quattro mesi dopo ricevetti una lettera dove lui il Signor Tupè mi informava che presto mi sarebbe venuto a trovare un professore italiano di nome Veltri il quale come rappresentante di una compagnia italo-canadese, veniva appunto in Italia e precisamente in Calabria suo paese nativo, per reclutare e sbrigare le trattative d’accordo con le autorità canadesi per l’espatrio in Canada di un paio di migliaia d’operai calabresi.
C’è da immaginare la mia gioia, finalmente qualcuno aveva mantenuto la promessa, come pure nemmeno l’attesa fu molto lunga, un paio di settimane dopo, poco prima di Natale arrivò il tanto desiderato professore il quale m’infarinò brevemente sulla situazione. Secondo gli accordi stipulati tra il governo italiano e quello canadese, l’emigrazione in quel particolare caso era permesso soltanto a persone provenienti da zone agricole e dato che io ero cittadino romano e di professione molto differente da quella di cui loro avevano bisogno, spettava a lui personalmente al professore Veltri di aiutarmi a preparare le pratiche per il passaporto ed inserirmi in uno dei suoi gruppi. Non so se dovrei dirlo, forse era la mia impressione, ma sin dall’inizio del nostro incontro, mi accorsi che l’amico non era sincero, non mi sembrava troppo entusiasta, anzi al contrario, debbo ammettere che cercò anche di scoraggiarmi, in tutti i modi, ci lasciammo d’accordo che da Cosenza dove lui era diretto, mi avrebbe scritto e tenuto al corrente di quello che avrei dovuto fare. Passò il mese di gennaio, febbraio, in questi due mesi gli scrissi due lettere, ma del professore non sentii nemmeno la puzza, era svanito, nel frattempo le cose in albergo andavano a gonfie vele, cosicché anche se internamente nel fondo del cuore la speranza di emigrare era sempre viva, non mi preoccupavo troppo, anche perché ben sapevo che non stavo soffrendo, non mi mancava nulla, tutt’altro, vivevo come un pascià, soldi e donne a volontà, ma adesso che le carte erano cambiate, adesso che il futuro era più che incerto, presentandosi opaco, grigio, poco promettente, incominciai a sentirmi con l’acqua alla gola.
Dopo un’altra lettera gli mandai un telegramma, ma del benedetto professore nessuna notizia, era introvabile, irraggiungibile, ad un certo punto dubitai che fosse ripartito ed al riguardo scrissi al Signor Tupè, ma costui mi rispose che stava ancora in Italia, anzi mi assicurò che allo stesso tempo che scriveva a me avrebbe scritto anche a lui per sapere quali erano le sue intenzioni verso di me, ma anche questo a poco valse, il professar Veltri faceva il sordo. Si dice che panza piena non crede a quella vuota e questo era proprio il caso suo, se ne fregava altamente dei miei problemi, le mie preghiere da un’orecchio gli entravano e dall’altro gli uscivano. Purtroppo lui non sapeva ancora con chi aveva a che fare, perché non ero io a cedere a dare all’aria tanto facilmente. Pensa e ripensa finalmente mi venne un’idea, siccome la montagna non era andata da Maometto, Maometto decise di andare a trovare la montagna. Una bella mattina di buonora, forse anche troppo di buonora perché erano ancora le cinque ed il sole non era ancora spuntato, scesi nella piccola stazione di Cosenza. La città non s’era ancora svegliata e dovetti aspettare che ciò avvenisse per incominciare a chiedere informazioni. Erano le sette precise quando misi piede nell’albergo dove alloggiava la delegazione canadese. Se tutto fosse andato come desideravo, con l’aiuto di Dea Fortuna speravo di poter prendere due piccioni con una fava, cioè allo stesso tempo incontrarmi con i canadesi e, con il professar Veltri anche lui assiduo cliente dell’albergo, ma venni subito raffreddato quando il portiere di notte mi disse che il professore era partito il giorno prima per Napoli.
Arrivato all’albergo rientrai e con un grosso sospirone di sollievo notai subito che il portiere dietro al bancone non era più lo stesso di prima ed il più graziosamente possibile gli domandai se poteva annunciarmi al vice-console Cotè, adesso sapevo anche il nome grazie a Leonardo, oppure a qualsiasi altro rappresentante della delegazione canadese, ma se un paio d’ore prima avevo creduto che il suo collega s’era comportato abbastanza rudemente con me, questo era addirittura un caino, brutto di viso e burbero quanto mai. Mi trattò proprio come una pezza da piedi e forse fu proprio quello che mi fece salire il sangue agli occhi perché immediatamente m’impennai e contraccambiai allo stesso tono. Lui gridava ed io più di lui, ovviosamente lui non stava compiendo che il proprio dovere ed aveva regione, ma dall’altro canto nemmeno io avevo torto, dopo tutto non avevo fatto mille e cinquecento chilometri soltanto per cambiare aria, o sni o sna, dovevo ben arrivare ad una conclusione. Mancava soltanto che venissimo alle mani quando d’un tratto dall’alto della scalinata come in una apparizione, apparve l’angelo salvatore in forma di un distinto signore il quale appoggiatosi alla balaustra mi chiamò per nome:
“Armando. Questa è veramente una sorpresa. Cosa fai tù quà a Cosenza?”
La sua apparizione non sarebbe stata più propizia, ma allo stesso tempo non sapendo chi era per non fare brutta figura rimasi muto lasciando a lui l’opportunità di fare la prossima mossa. Purtroppo non fu lui bensì il portiere a venirmi involontariamente in aiuto. Anche lui per un istante rimase a bocca aperta perché oltre a non credere a quello che aveva udito, era ben conscio di come m’aveva trattato poco prima, tentando di riparare il meglio possibile al mal fatto, tutto dolce si rivolse al canadese con un inglese molto povero:
“Good morning doctor William.”
Debbo ammettere che tanto il nome quanto il viso del dottore non mi erano affatto familiari ma l’importante era che lui si ricordasse di me, il resto non contava.
Dottor William era un bell’uomo sulla quarantina ben piazzato, alto, capelli alla cacio e pepe con un simpatico sorriso e molto affabile, ragion per cui mi ci sentii subito a mio agio e una volta sedutoci nel salotto, a cuore a cuore gli spifferai tutto quello che era accaduto tra me e il professore Veltri.
Mi ascoltò pazientemente fino all’ultima parola, poi mezzo inglese e mezzo italiano mi disse che tutti i membri del consolato incluso Il Signor Cotè erano al corrente della mia situazione perché erano stati informati tramite più di una lettera dal Signor Tupè ed avevano spesso parlato di me, ma rimase alquanto sorpreso come mai il professore non aveva mai menzionato loro il mio nome.
Ad un certo punto s’arrestò e come se parlando a se stesso ma a voce alta e scuotendo la testa, mentre un ironico sorriso appariva sulle sue labbra:
“Ora incomincio a credere anche io che quello che si dice al suo riguardo è vero, ecco perché la vecchia volpe non ti ha mai risposto. Infatti anche noi non ci siamo mai impicciati perché ti sapevamo nelle sue mani, ma non ti preoccupare, adesso la faccenda è ben diversa e puoi essere certo che in una maniera o nell’altra la sistemeremo. Piuttosto hai fatto bene a venire a Cosenza altrimenti noi non avremmo mai saputo la verità ed il Canada l’avresti visto in cartolina. Bravo, bravo Armando. Peccato che il professore non è quà altrimenti oggi stesso avremmo chiarito questa faccenda. Ha ha ha, aggiunse ridendo veramente di cuore. Il compare la sa lunga, ecco perché ci sono tante chiacchiere in giro. Povera, povera gente.”
Malgrado i paesani m’avessero già fatto capire che il professore era un gran pappone, in quel momento non potevo mai immaginare a cosa potesse riferirsi il dottore William, ma le sue parole mi rimasero impresse e soltanto mesi dopo ne capii il pieno significato. In tutti i modi non ci sono maniere o parole per descrivere l’accortezza, la delicatezza e la bontà con cui questo sconosciuto mi trattò, non credo che avrebbe trattato meglio un suo fratello minore.
Parlammo di più e del meno per più di un’ora e dopo aver consumato il caffè che volle offrirmi, mi congedò dicendo: “Prendi il primo treno e vattene a casa, tanto qui puoi fare ben poco. Non appena torneranno da Napoli, parlerò personalmente con il professore e con il Signor Cotè. Ci rivedremo fra una settimana a Roma. Va bene?”
Mi strinse la mano e risalì le scale, quando arrivò sul pianerottolo si voltò a gridarmi “Ciao” e scomparì nella stessa maniera come era apparso.
Il viaggio
Mestieri
operaio, impiegato, ristoratoreLivello di scolarizzazione
avviamento alberghieroPaesi di emigrazione
CanadaData di partenza
1951Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Armando Viselli
Trattati come bestie
Quando arrivò il turno mio, a quello avanti a me il rappresentante canadese lo scrutinò ne...
Il distacco
L'ultimo giorno a casa lo passai in allegria circondato dalle persone più vicine al mio cuore....
Soprassate e capocolli
Quando finalmente arrivammo all'agognata meta, nessuno gridò "Terra, terra" bensì venimmo accolti dal lugubre fischio dei...
Il cenone della vigilia di Natale
Arrivò la vigilia del Santo Natale senza accorgercene e soltanto poche ore prima della grande ora...
Extra Gang 156
A quei tempi, la Canadian National Railway, stava ringiovanendo tutto il suo sistema ferroviario, ed io...