La missione in Cile

Le cose erano notevolmente migliorate dopo la seconda guerra mondiale. Monsignor Baldelli, nome della Pontificia Commissione Assistenza, insisteva con il governo italiano che si desse nuovamente impulso ai flussi migratori. Numerosi ambasciatori incitavano il ministero degli esteri ad essere più attivo in questo settore. Persino alcune regioni, tra quelle più popolate, cercavano di riaprire per conto proprio l’avvio delle loro popolazioni all’estero.

Vittorio Ronchi, avendo ricevuto fondi speciali e dal piano Marshall per questo stesso scopo, si mise subito all’opera per organizzare missioni di studio in vari paesi dell’America Latina. Fu lui che mi telefono chiedendo se fossi disposta ad andare in Cile. La risposta fu un “sì“, secco ed incondizionato. Era l’occasione che Nicla e Dio aspettavamo per esplorare opportunità di lavoro all’estero e mettere da parte un po’ di soldi per il matrimonio. Non molto prima, mamma Gina, aveva detto: “qualcosa dovrà pur venire su”. Anche questa volta aveva avuto ragione! La missione in Cile venne organizzata a Firenze, dall’istituto agronomico d’Oltremare ed il professor Giuseppe Venturoli fu eletto capo missione. Altri membri erano due agronomi, un pedologo, due ingegneri civili, un forestale, un medico ed un avvocato. C’erano anche un economista ed uno zootecnico. Quest’ultimo ero io. La mia esperienza al Fucino con il bestiame da latte e la carne mi qualificava per tale lavoro. Dopo varie riunioni sugli obiettivi e procedure della missione, partimmo per Santiago.