Mestieri
studenteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Sierra LeoneData di partenza
1992Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)La prima notte a Freetown, Sierra Leone, trascorsa da Barbara Velardo nel 1992, è segnata dalle scomodità estreme che incontra nel punto di raccolta dedicato ai volontari che, come lei, hanno raggiunto il paese per partecipare a un programma di cooperazione allo sviluppo della comunità intrapreso dalla chiesa metodista svedese.
Imbocchiamo una viuzza, con dell’acqua che scorre nel mezzo, saltiamo da una pietra all’altra, infine raggiungiamo una baracca. Siamo arrivati.
Ci sono altri tre volontari tedeschi seduti attorno ad un tavolo, silenziosissimi. Dopo aver scambiato qualche parola assieme a loro imploriamo un letto e una doccia. Non c’è nessuna doccia, non c’è nessun letto…o meglio un letto c’è, ma dev’essere diviso tra tutti!
Mi offrono da mangiare: riso e carne contenuti in pentole appoggiate a terra, con galline e pulcini che razzolano ovunque e di una cucina neanche l’ombra. Il pavimento non esiste, e la stanza non può essere più grande di 7mq. Grazie, non ho fame.
La camera da letto é coperta di foto e scritte islamiche, la finestra non ha il vetro e la tenda, che pende da una parte, è a brandelli. Il soffitto ha un buco enorme in un angolo. Attorno al letto, per terra, tutti i nostri zaini e sacchi a pelo coprono l’intero spazio disponibile.
L’aria é bagnata, e c’è un odore fortissimo di terra umida, fieno e legno; sento le zanzare tutt’attorno a me, e perfino le orecchie sono impregnate di sudore ed i Jeans sono quasi bagnati.
Le mani grondano, i piedi duolgono.
Mi infilo a fatica nel sacco a pelo più umido di me, dopo aver aggiunto al sudore tutte le lozioni antizanzare possibili immaginabili, e dopo aver acceso la diabolica scatoletta nera che con i suoi ultrasuoni dovrebbe assicurarmi un soggiorno piacevole senza punture di insetti.
Chiudo gli occhi, cerco una posizione che aderisca come un puzzle a quella di Natali che dorme accanto a me, e finalmente tutto é pronto per la prima notte in Africa… Apro gli occhi, cambio posizione, mi assicuro che qualche membra non giaccia al di fuori del sacco a pelo, pronta per essere morsa da chissà cosa potrebbe entrare dalla finestra accanto a me, e richiudo gli occhi.
Natali brontola, riapro gli occhi. Guardo l’orologio. Richiudo gli occhi.
Infine li riapro, per l’ultima volta. Trascorro l’intera notte infatti con le palpebre spalancate, fissando il buio e cercando il sonno.
Si, si, si, mi piace!! Riesco a dormire, ma solo per un’ora e mezza.
La mattina si presenta con una pioggia fittissima. Cerchiamo una doccia, ci accompagnano in una stanzuccia minuscola, buia, puzzolente, piena di insetti, sporchissima, e ci indicano la doccia.
Natali scoppia a piangere, e io la guardo. Le sue lacrime si confondono con le gocce della pioggia. Questa sarà una costante.
OK, devo prendere in mano la situazione. Mi armo di cloro, utilizzo il tè contenuto nel suo thermos per il lavaggio dei denti, dopo di che lo riempio di acqua grigio-verdastra e ci aggiungo qualche goccia di cloro. Cosi ci laviamo, in mutande, sotto la pioggia.
Rientriamo, chiacchieriamo con gli altri e decidiamo infine di andare a perlustrare la zona.
Il viaggio
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