Mestieri
hostess di voloLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Stato di PalestinaData di partenza
2000Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Dopo il fallimento del vertice di Camp David nel luglio del 2000, scoppia la Seconda Intifada. Roberta Mugnai è a Hebron quando l’incendio si propaga nella città contesa tra israeliani e palestinesi.
Il 15 Settembre del 2000 passò senza che lo Stato Palestinese venisse proclamato, il 29 dello stesso mese Ariel Sharon provocò i palestinesi con la sua passeggiata sulla Spianata delle Moschee e il 30 Settembre a Hebron ebbero inizio i clashes. Al briefing delle ore 07.00 ci dissero solo che quella mattina c’era un insolito movimento nella Città Vecchia e che dovevamo osservare attentamente. Forse, non avevano ancora capito che la seconda Intifada era iniziata o non ci vollero allarmare più di tanto. la “Rivolta” ad Al Khalil esplose violenta, come in altre parti della Cisgiordania e Striscia di Gaza, e non venne risparmiato un solo angolo della Qasba. Non appena ci rendemmo conto della situazione del tutto nuova che si era venuta a creare, alcuni osservatori civili, in seguito, si fecero rimpatriare, altri chiesero ed ottennero di passare negli uffici. La Svizzera ordinò ai suoi pochi osservatori di non uscire dal Quartier Generale, il destino ha voluto poi che proprio una Svizzera fosse coinvolta e uccisa nell’agguato del 26 Marzo 2002. I pattugliamenti furono portati avanti da Turchi e Italiani, in quanto militari, io e Serena comprese, alcuni poliziotti e poliziotte norvegesi e danesi. Dopo una quindicina di giorni anche gli Svizzeri ripresero i pattugliamenti, erano mortificati. Il Colonnello ci chiamò per domandarci se volevamo rimpatriare o restare, tutti decidemmo di rimanere, io e Serena non avremmo mai lasciato il nostro contingente, eravamo infermiere quindi potevamo essere utili, ma prima ancora crocerossine e quindi addestrate a un forte senso del dovere e della disciplina. Il 26 Settembre al Quartier Generale arrivò il Generale Sergio Siracusa dell’Arma dei carabinieri per una visita. Tutto il contingente italiano si schierò nella sala delle riunioni a piano terra, dove le sei grandi bandiere dei paesi partecipanti alla Missione TIPH II, risoluzione n° 904 delle Nazioni Unite, stavano perennemente spiegate. Il Generale ci passò in rassegna uno per uno, quando toccò a Serena e a me ci fece un sorriso. Fu di poche parole, la cerimonia durò poco, ci congedò con un «buon proseguimento», poi ci invitò tutti quanti per il pranzo all’albergo Al Mizan Regency, vicino al Quartier Generale. L’invito venne accettato da tutti con grande gioia: finalmente avremmo mangiato qualcosa di buono! Quella breve visita così inaspettata non dettò lì per lì nessun sospetto e neanche la sua frase di congedo. Più tardi mi venne il dubbio che il Generale fosse già a conoscenza di quello che sarebbe accaduto da lì a tre giorni e che fosse arrivato a Hebron per controllare l’assetto formale di tutto il reparto Italiano e rincuorarlo con quella sua frase di «buon proseguimento» che non mi aveva convinto molto.
Quando mi alzai, quella mattina del primo Ottobre 2000, il cielo era azzurro e l’aria tiepida. Come sempre feci colazione, indossai la mia uniforme grigia infilando nei passanti del pantalone la cintura blu bordata di rosso con lo stemma dei carabinieri, feci scorrere sul braccio il manicotto celeste con la scritta in rosso “osservatore” in tre lingue e lo fissai alla manica della camicetta, presi il jacket multitasche celeste sulla cui parte posteriore era scritto sempre in rosso observer, afferrai la borsa e mi avviai verso la palazzina dove si trovava la stanza nella quale avvenivano i briefings prima di ogni turno, ignara che quella mattina sarebbero cambiate tante cose e che sarei stata testimone oculare di un evento. L’osservatore che si occupava di darci informazioni quotidiane di quanto succedeva in Cisgiordania, Gaza e Israele ci disse solo che, nelle principali città, c’erano dei disordini.
Il Capo delle Operazioni ci ordinò di andare giù in città a “dare un’occhiata”. I turni vennero modificati per tutte e sette le ore e io fui mandata con l’osservatore norvegese Henrik (soprannominato ‘palle di gomma’) Arabic-speacker, sul tetto di un palazzo a CP55, piazza Bab Al Zawiye. Andammo in garage e prendemmo la prima Opel che ci capitò, facemmo i dovuti controlli, poi caricammo ognuno la propria sacca nel portabagagli. Queste sacche erano molto pesanti, più di una volta mi capitò che un osservatore galante volesse caricare la sacca nel portabagagli della macchina per me, io rifiutai sempre, l’autosufficienza è la prima cosa quando si va in missione, sembrerà eccessivo però devi dimostrarla sempre. Henrik era al volante, imboccò subito la Inner A, io feci i controlli della radio chiamando Oscar niner, il quale riferì che mi sentiva “forte e chiaro”. Quando arrivammo alla piazza erano già le 8.30 circa, ad attenderci davanti all’ingresso del palazzo c’era il proprietario con un paio di chiavi. Indossammo il giubbotto antiproiettile, il casco azzurro e prendemmo le radioline portatili, la video camera e la macchina fotografica, poi seguimmo l’Arabo su per le scale. Una volta all’interno del palazzo mi resi conto che, ancora, non era finito di costruire, la scala non aveva una protezione, bastava mettere un piede in fallo e saremmo caduti rovinosamente di sotto. Quando giungemmo sul tetto il proprietario aprì con le chiavi una porticina di metallo ed entrammo in un terrazzo delimitato da un parapetto. Lo ringraziammo: «shukran, shukran», sembrava avesse premura così, se ne andò via subito e più tardi capii perché.
Sotto di noi la piazza era quasi vuota, le bancarelle non erano allestite, al CP55 i militari israeliani erano in numero superiore e stavano riparati dietro tre blocchi di cemento portati lì probabilmente da poco, perché il giorno prima non c’erano e il confine tra Zona H1 e Zona H2 era possibile varcarlo con la macchina. Verso le 10.00, questa era l’ora in cui a Hebron iniziavano i clashes, a CP55 ebbe inizio la “Rivolta”. Circa duecento, duecentocinquanta persone si erano nel frattempo radunate nella piazza sotto di noi, per proteggersi rasentavano i muri delle costruzioni. A turno, urlando slogan e canti, lanciavano pietre mostrandosi ai militari. Un’ambulanza della Mezza Luna era parcheggiata in un punto sicuro della piazza Bab Al Zawiye. Si udivano spari e per un attimo tutto cessava, qualcuno era stato ferito e il malcapitato veniva afferrato sotto le ascelle da due uomini che lo trascinavano depositandolo senza tanti complimenti sull’ambulanza. Questa, con i motori sempre accesi, partiva a sirena spiegata verso il vicino ospedale di Amira Alia per poi tornare a riposizionarsi sotto di noi. Dal nostro punto di osservazione prendevamo appunti, foto e ascoltavamo le comunicazioni tra gli altri osservatori posizionati nei punti caldi della città. Osservammo che, a metà mattinata, l’intensità dei clashes era aumentata, furono lanciate anche Molotov cocktail contro i militari che, nel frattempo, si erano appostati anche sui tetti delle case della Zona H2. Arrivò anche una jeep della Polizia Palestinese con un singolo uomo, in abiti civili e armato che lasciò il campo quasi subito. Dopo poco arrivò un’altra jeep con quattro uomini in abiti civili che cercarono, così mi sembrò, di dissuadere i palestinesi dal lanciare pietre contro i soldati israeliani. A metà mattinata udimmo una comunicazione, la voce era di Andrea, chiedeva l’intervento di me o Serena per Anne, ferita ad una mano da una pietra. Andrea e Anne erano in turno insieme da un altro lato non distante della Città Vecchia, ma con tutto quel caos sarebbe stato arduo raggiungerli. Henrik decise di non rispondere al messaggio, mi disse che con tutta probabilità sarebbero ritornati al Quartier Generale e Anne si sarebbe fatta medicare dal nostro Medical Officer. Anche Serena ascoltò quel messaggio e anche lei non potè intervenire per le difficoltà che si crearono quella prima mattina di Intifada ad Al Khalil. Quando a fine giornata la incontrai mi disse che era stata a piazza Bab Al Zawiye e che aveva assistito al ferimento di una persona così vicina a lei tanto che le schizzò il sangue sui pantaloni. Dal mio posto di osservazione non la vidi. Mi chiesi chi delle due fosse rimasta in maggior sicurezza in quelle ore! Quando alla sera incontrai Anne aveva una mano fasciata, era un po’ stordita, lo eravamo tutti, la mattinata era stata molto pesante e si era solo all’inizio.
Il viaggio
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