Mestieri
operaio, commercianteLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
Stati Uniti d'AmericaData di partenza
1926Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Il commovente arrivo a New York di Antonino, emigrato dall’Argentina nel 1927 a soli 16 anni. Ad aiutarlo nel difficile approccio con la metropoli, una donna, la signora Antonia Carabe, che lo ha accolto come un figlio nel corso del lungo viaggio in nave iniziato a Buenos Aires. Antonino ha fatto subito amicizia anche con i figli della donna, che gli hanno dato un soprannome tipico della zona dell’Argentina da cui proviene: “Il Pibe”, vale a dire “il ragazzo”.
Era l’alba del 27 marzo. Andai in coperta con l’intenzione di vedere terra e contemplare la famosa statua della Libertà; ma era nuvoloso e troppo scuro. Erano le cinque del mattino e dal mio posto di osservazione non vedevo molto. Dopo, un’ora più tardi potei distinguere alla mia destra, la costa di Brooklyn e alla mia sinistra Staten Island. Saltai di piacere e correndo scesi le scale, in cerca di Raffaello e Antonio, annunciandogli che eravamo entrati nel canale di navigazione, che si vedeva terra e che tutto sembrava bello. Andammo allora in coperta e vedemmo che la nave avanzava molto lentamente e i passeggeri di prima erano appoggiati alla ringhiera guardando l’entrata a New York. Tutto ad un tratto, tutti scoppiarono in un grido: “È lì, è lì”, segnalando la famosa statua donata dalla Francia, la quale spiccava bella e immensa, impressionante, dando il benvenuto con le sue braccia aperte a tutti coloro che, con fede, speranza e buona volontà, arrivassero a questa terra che li riceveva con benedizione, senza fare distinzioni di razza o di religione, lingua o colore della pelle. Sentii una così profonda impressione nel vederla che immediatamente capii che arrivavo al luogo dove avevo sempre anelato di arrivare. In un luogo dove sarei potuto arrivare ad essere grande ed essere qualcuno e ringraziai Dio per avermi portato in questo Paese.
Si avvicinò la signora Antonia per dirmi che sarei andato con loro, come membro integrante della loro famiglia. Avevamo i nostri bagagli in coperta e dovevamo aspettare il disbrigo di tutti i passeggeri di prima e seconda classe e poi sarebbe arrivato il nostro turno. Erano circa le due del mattino quando fummo autorizzati a sbarcare. Eravamo in fila e si procedeva con lentezza.
Mi domandarono dove avrei alloggiato o dove avrei eletto il mio domicilio durante il soggiorno, quanto denaro possedevo e quanto ne avrei ricevuto se me ne avessero inviato. Sul momento non potei rispondergli, per cui cercai di vedere la signora Antonia e i suoi figli, ma non riuscivo a trovarli.
Cominciai ad essere preoccupato e alcune lacrime spuntarono nei miei occhi. L’ufficiale, allora, mi chiese di accompagnarlo con la mia roba. Con lui cercai di parlare in Italiano, affinché mi aiutasse a cercare la signora Antonia, ma siccome non mi capiva cominciai a gridare: “Antonia, Raffaello, Antonio!”, senza ottenere alcuna risposta. Sentivo che il mondo mi cascava addosso e non sapevo cosa fare. L’ufficiale incaricato mi chiese di aspettarlo là, senza muovermi. Furono i venti minuti più lunghi della mia vita. “Pibe, dove sei?” Riconobbi la voce della signora Antonia e lo dissi all’ufficiale. “Dobbiamo incontrarla” mi rispose e cominciammo a cercarla con forti grida; “Antonia, Antonia, mi risponda”. Avvertii l’ufficiale che dovevamo essere vicini perché ascoltavo la sua voce ogni volta con più chiarezza. Tardai un poco nel vederla spuntare correndo e chiamandomi con disperazione. Ci abbracciammo e cominciammo a piangere. Il nostro incontro emozionò anche l’ufficiale il quale con le lacrime negli occhi mi disse: “Va tutto bene figliolo, va tutto bene”. Me lo ripeté parecchie volte e mi consegnò il passaporto e la documentazione americana. Con un’allegria indescrivibile, andammo a prendere il traghetto che ci avrebbe portato nella città di New York, per salire subito ad un “trolley” e arrivare alla stazione della metropolitana.
Scendemmo in corso Lenox e la via 116 e a mezzo isolato da lì, entrammo nell’edificio dove essi vivevano. La signora Antonia mi avvertì: “Questa è la tua casa, Pibe, benvenuto!”
L’abbracciai dicendole: “grazie, grazie mille, mamma! Dio la benedica! Mia madre sarebbe orgogliosa di sapere che lei mi considera suo figlio”.
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