L’accoglienza della città natale

La loro città li accolse con un radioso sole primaverile, ma non altrettanto calorosamente i concittadini che gli rubarono una valigia contenente metà dei loro risparmi e tutti i certificati di nascita dei figliuoli. Per la prima volta vidi scorrere due lacrime dagli occhi di mio padre non so se per l’emozione di rivedere il suo Vesuvio o per il torto appena ricevuto.

I primi parenti che vennero a darci il benvenuto furono la sorella della nonna con il marito al quale, come ispettore del dazio, era permesso di salire sulle navi. Egli chiese a mio padre con ansia ed eccitazione se il grosso baule e le valigie contenessero qualche merce di contrabbando per offrirgli la sua protezione. Con molta circospezione e paura mio padre cominciava a tirare fuori dal baule dei pesanti sacchetti e li allineava con molta cura e amore rivelando che si trattava di prezioso sale a dire di molti introvabile a Napoli. Fortemente deluso il caro parente si affrettò a lasciare prudentemente questa numerosa famiglia derubata dei suoi risparmi e probabile fonte di fastidi.

Appena scesi sulla banchina mio padre fu circondato dalle sue tre sorelle, vecchie zitelle, che tra baci e abbracci facevano la conoscenza di noi figli. Ci offrivano ospitalità nella loro minuscola casa in cui una stanza era adibita a sartoria per signora. […]

Come ho già detto ci attendevano a Napoli molti sacrifici da sopportare e per noi fu ancora più duro in quanto avevamo lasciato una nazione ricca e prospera. La nostra situazione economica era disastrosa, non avevamo una casa nostra e mio padre era disoccupato fra milioni di persone che ritornavano dal fronte, anche essi senza lavoro.

Il dopoguerra del 1917 fu per i napoletani un periodo tristissimo e pieno di miseria. Ricordo un giorno di essere rimasto in fila dalla mattina fino al pomeriggio per portare a casa un chilogrammo di pane.